L’espressione romana “a uffa” è sinonimo di gratuito, senza pagare, e deve le sue origini a un luogo ben preciso in città, oggi quasi del tutto scomparso.
Presso il muro della città del Vaticano in via di Porta Cavalleggeri, s’intravede una porta ad arco murata e semi infossata sotto il livello stradale, l’antica porta Fabbrica. Costruita a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento e quasi subito murata per esigenze militari, fu riaperta nel Cinquecento per permettere l’accesso delle merci necessarie per la costruzione della basilica di San Pietro, in piena attività in quegli anni.
Porta Fabbrica. Incisione di Giuseppe Vasi
Sul lato esterno presso l’odierna via delle Fornaci si trovava una fabbrica di mattoni con annessa fornace per la cottura dei laterizi. Il nome potrebbe dunque derivare sia dalla fabbrica di san Pietro sia dalla fabbrica di mattoni, a dare forza a quest’ultima ipotesi il fatto che, in una mappa di metà Cinquecento, la porta è indicata come porta Fornacum.
Ma veniamo al detto popolare, i mattoni destinati alla fabbrica di San Pietro erano marchiati con l’acronimo AUFA di Ad Usum Fabricae che li rendeva esenti da dazio. Lo stesso accadeva per qualsiasi altro tipo di merce destinata alla fabbrica. Continua >>
Giuseppe Garibaldi, oltre ad aver impugnato le cause di libertà e indipendenza in giro per il mondo, aver navigato il globo in lungo e in largo fino addirittura alle coste cinesi, contrastato il potere della Chiesa, combattuto contro i francesi a Roma e unificato l’Italia, s’impegnò nei progetti e nei dibattiti per la soluzione del problema delle piene del Tevere che da tempo immemore flagellavano la città senza preavviso e con violenza imprevedibile.
Il 1870, oltre a segnare l’anno della definitiva annessione di Roma al regno d’Italia, sarà ricordato anche come l’anno di una delle più devastanti piene del fiume, il 28 dicembre. Bisognava agire velocemente, trovare una soluzione definitiva e realizzarla. Garibaldi aveva a cuore il progetto di fare di Roma una capitale moderna al pari delle altre capitali europee, godeva inoltre di una certa popolarità che rendeva la sua opinione più influente. L’eroe dei due mondi era il promotore di una soluzione creativa e innovativa nota con il nome di Progetto Garibaldi. Continua >>
A Roma, come nel resto del nostro Paese, si vivono tempi difficili dal punto di vista economico, la crisi porta il popolo a tirare la cinta, rivedere stili di vita e trovare il modo di arrivare con lo stipendio fino alla fine del mese. Roma nei secoli ha vissuto crisi di tutti i tipi; carestie, pestilenze, assedi, invasioni e tiranni hanno lasciato una forte impronta sia nel tessuto urbano sia nella tradizione popolare. Alcuni detti popolari giunti fino a noi condensano in poche parole il senso della crisi, della mancanza di denaro. “Nun c’è trippa pe’ gatti”, ad esempio, è l’eloquente espressione usata per dire che non ci sono più soldi oppure che non si fa alcun credito.
Si potrebbero immaginare quei felini che aspettano invano davanti alla bottega del macellaio per rimediare un pezzetto di carne che non arriverà mai. Invece il detto ha un’origine ben definita: nel 1907, il sindaco di Roma Nathan, in cerca di modi per risanare il bilancio cittadino in crisi nera, depennò dalla lista di pagamenti la trippa per i gatti che il comune acquistava per i mici del centro storico tanto utili per eliminare i topi. Nathan ritenne quella spesa uno spreco e per risparmiare annunciò pubblicamente che a Roma non ci sarebbe più stata trippa per gatti.
Ernesto Nathan
Un’altra espressione ancora viva tra gli anziani, è il detto “ nun è più er tempo che Bberta filava”che fa, forse inconsapevolmente, riferimento a un’antica storia popolare tramandata di generazione in generazione. Berta era una filatrice di lino dell’antica Roma che un giorno incontrò per caso Nerone e gli augurò di campare mille anni; l’imperatore colpito da tale augurio, le comandò di tornare al lavoro e portare a palazzo tutto il lino che avrebbe filato fino al giorno dopo. Berta terrorizzata e ignara, pensò che Nerone l’avrebbe uccisa. Filò tutta la notte, e il giorno seguente, piena di paura, portò il lino a corte. Nerone ordinò di donarle tanta terra quanto filo aveva portato. Berta diventò ricchissima. Si scatenò una corsa a portare grandi quantità di lino all’imperatore nella speranza di ricevere il medesimo trattamento che toccò a Berta, ma Nerone rispondeva “Nun è più er tempo che Bberta filava”.
Concludiamo con un detto ormai caduto in disuso per descrivere le persone più bisognose, quelle che “commatteveno er cecio cor faciolo”, a indicare che allungavano la zuppa di fagioli con i ceci molto meno pregiati per risparmiare sul costo senza diminuire la quantità.
Dato che una Berta c’è e filava anche questa, ricordiamo il grande Rino Gaetano !!! Certo filava con un pò tutti … 🙂