giovedì, Dicembre 12, 2024 Anno XXI


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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


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Isola Tiberina

Fin da tempi antichissimi l’isola Tiberina era assimilata a una nave che solcava le acque del fiume. Sulla direzione di questa ideale navigazione gli storici sono incerti: risaliva il fiume? O scorreva agevolata dalla corrente verso il mare? Quello che è certo è che già in epoca imperiale era rivestita di marmi che ne seguivano la forma, alcuni dei quali sono tutt’ora visibili sul lato che volge verso il Ghetto, sotto la scala che porta agli uffici della polizia fluviale.

A completare la similitudine, un obelisco ornava il centro dell’isola come fosse l’albero maestro di un’imbarcazione. L’obelisco ebbe una storia piuttosto sfortunata, al contrario di molti suoi simili sparsi in giro per la città, perché non trovò sistemazione al centro di piazze monumentali, sopravvisse fino al Cinquecento per poi essere smembrato e suddiviso in ben tre luoghi lontani da Roma: al museo nazionale di Napoli, a Parigi e a Monaco di Baviera. Al suo posto fu sistemato il monumento che ammiriamo oggi, piuttosto singolare a Roma.

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Isola Tiberina

Si tratta di una guglia con quattro statue di santi su ciascun lato. I romani la soprannominarono “la colonna infame” da quando il governo pontificio la usò per affiggere la lista con i nomi dei cittadini scomunicati per non aver osservato il precetto pasquale, per otto giorni a partire dal 24 agosto, festa di San Bartolomeo, titolare dell’omonima basilica sull’isola, e la tradizione rimase attiva fino alla fine dell’Ottocento.

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Bartolomeo Pinelli

Tra gli scomunicati apparve nel 1834 anche Bartolomeo Pinelli, “er pittore de Trastevere”. Bartolomeo, notato il suo nome sulla lista, andò a protestare non per la scomunica ma per la qualifica di miniatore, che lo fece adirare non poco poiché voleva essere riconosciuto come incisore. Il Belli ricorda il carattere irriverente del Pinelli nel sonetto La morte der sor Meo.

 

 

 

 


La morte der zor Meo

Sí, cquello che pportava li capelli
ggiú pp’er gruggno e la mosca ar barbozzale, 1
er pittor de Trestevere, Pinelli, 2
è ccrepato pe ccausa d’un bucale. 3
5
V’abbasti questo, ch’er dottor Mucchielli, 4
vista ch’ebbe la mmerda in ner pitale,
cominciò a storce5 e a mmasticalla male, 6
eppoi disse: «Intimate li fratelli». 7

Che aveva da lassà? Ppe ffà bbisboccia 8
10ner gabbionaccio9 de Padron Torrone, 10
è mmorto co ttre ppavoli in zaccoccia. 11

E ll’anima? Era ggià scummunicato, 12
ha cchiuso l’occhi senza confessione… 13
Cosa ne dite? Se14 sarà ssarvato?

9 aprile 1835

Note

  1. Mento.
  2. Bartolommeo Pinelli, nativo di Trastevere, incisore, pittore e scultore, il 1° giorno di aprile 1835, nella età di anni 54. Nella sera antecedente, aveva presa all’osteria la sua ultima ubriacatura.
  3. Boccale.
  4. Alcuni del popolo credono che il medico di Pinelli fosse costui, noto in sua gioventù per poesie romanesche che andava recitando per gli spedali in occasione di pubbliche dimostrazioni anatomiche degli studenti di chirurgia: ma fu realmente un dottor Gregorio Riccardi.
  5. A torcere il grifo in aria di dubitazione.
  6. Masticarla male, in senso di «presagir male».
  7. Coloro che convogliano i morti alla sepoltura.
  8. Per far tempone.
  9. Il Gabbione, nome della osteria dove il Pinelli consumava tutti i suoi guadagni mangiando e bevendo e dando a bere e mangiare. Havvi sú la insegna di una gabbia con merlo.
  10. Torrone, nome dell’oste.
  11. Circostanza storica. Il funerale fu fatto con largizioni spontanee di alcuni ammiratori della di lui eccellenza nell’arte. Molti artisti, vestiti a lutto, e quali con torchi, quali con ramoscelli di cipresso in mano, lo accompagnarono alla tomba nella chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi.
  12. Nel giorno di san Bartolommeo dell’anno 1834, il nome del nostro Bartolommeo Pinelli fu pubblicato in S. Bartolommeo all’Isola Tiberina sulla solita lista degl’interdetti per inadempimento al precetto pasquale. Avendovi egli letto esserglisi attribuita la qualifica di miniatore, andò in sacristia ad avvertire che Bartolommeo Pinelli era incisore, onde si correggesse l’equivoco sull’identità della persona.
  13. Alla intimazione de’ sacramenti, volle l’infermo essere lasciato qualche ora in pace, per riflettere, come egli disse, ai suoi casi. Il parroco lo compiacque, ma ritornato al letto di lui lo trovò in agonia! Si narra però che il moribondo corrispondesse ad una stretta di mano del prete. Questa circostanza deve aver fruttato al corpo la sepoltura ecclesiastica e all’anima la gloria del paradiso.
  14. Si.

Ricordiamo sempre che gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter