giovedì, Maggio 02, 2024 Anno XXI


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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


A cavallo tra il dodicesimo e tredicesimo secolo, papa Innocenzo III trovò un modo piuttosto singolare per risolvere il problema dei bambini abbandonati dalle madri. A quel tempo gli abbandoni si susseguivano copiosi, nelle chiese, nei conventi o semplicemente per strada. Perlopiù figli di prostitute o di rapporti illeciti di cui si doveva mantenere il segreto a tutti costi. I piccoli erano registrati negli archivi cittadini come figli di madre ignota che in latino diventa Filius m. Ignotae, qualifica da cui discende senz’altro una delle male parole più tipiche del dialetto romanesco. Purtroppo quei poveretti abbandonati finivano sovente per morire per malattia e malnutrizione, se sopravvivevano prendevano la strada della malvivenza, del brigantaggio e della questua. Continua >>

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Nel 1840 a villa Torlonia s’inauguravano due grandi obelischi che possiamo ancora oggi ammirare nel parco. La storia del loro trasporto è il resoconto di un’affascinante impresa di coraggio, navigazione e ingegneria che non è eccessivo definire titanica. Un anno prima, due steli di granito rosa vengono intagliate nelle cave di Baveno presso il lago Maggiore. Già dalle prime fasi del trasporto iniziano le difficoltà.

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Il Fortunato

La cava si trova a quattro chilometri dal lago in posizione sopraelevata, gli obelischi sono alti dieci metri e insieme arrivano a un peso di quasi cinquanta tonnellate. Giunti sulla riva, sono adagiati su tre grossi tronchi d’albero e fatti navigare attraverso il Ticino fino alla rete dei navigli milanesi, per poi continuare attraverso canali interni verso il Po e l’Adige fino a Venezia. Don Giovanni e Donna Anna, così sono soprannominati i due obelischi, vengono adagiati con un complesso sistema di argani su un battello appositamente costruito, il Fortunato, che avrà il compito di accompagnarli fino a Roma. Continua >>

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Tra i toponimi più curiosi del centro storico ne troviamo alcuni dal riferimento, in parte velato, alla prostituzione. Non stiamo parlando di un’improbabile via delle lucciole, che peraltro esiste a Cagliari, ma di via delle Convertite e via delle Zoccolette.

La prima è una traversa che da via del Corso conduce a piazza San Silvestro. Qui dai primi del Cinquecento esisteva un monastero di clausura che comprendeva la chiesa di Santa Lucia della Colonna. L’idea di un luogo per dare supporto spirituale e aiutare le peccatrici a tornare sulla retta via fu di papa Leone x, che istituì il monastero con la dichiarata intenzione di aiutare le meretrici e le peccatrici in genere ad abbandonare la via del peccato. Forse la controversa missione tra lo spirituale e il sociale fu responsabile di una serie di sfortune che flagellarono il monastero, la chiesa e la stessa via.

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San Giacomo alla Lungara

Nel 1617 l’intero complesso fu distrutto da un terribile incendio e subito ricostruito, e in quell’occasione la via prese il nome che mantiene tutt’oggi. Pochi anni più tardi la sfortuna toccò la chiesa di Santa Lucia. Fu prima sconsacrata e poi definitamente demolita per permettere l’allargamento della strada. Il monastero ricostruito non ebbe miglior sorte, divenne fabbrica per la manifattura del tabacco e poi demolito sotto il pontificato di Pio IX. L’attività di conversione delle povere donne continuò fervida sull’altra sponda del Tevere in via della Lungara a Trastevere, presso la chiesa e il convento di San Giacomo, anche questo demolito a fine Ottocento per la costruzione dell’argine del Tevere. Oggi sopravvivono solo la chiesa e un pezzetto di convento con un bel campanile romanico risalente al Trecento.

Nel rione Regola si trova l’altra via dal nome curioso e in questo caso forse ambiguo. Via delle Zoccolette si chiama così per la presenza nel Settecento del conservatorio dei santi Clemente e Crescentino di cui una parte fu dedicata da Clemente XI all’accoglienza di giovani donne orfane e senza marito. Una lapide, sopravvissuta incastonata nel muro del convento, quasi all’incrocio con via dei Pettinari, lascia pochi dubbi: “Pie povere zitelle e zoccolette”.

A differenza del convento delle Convertite, qui si faceva un’attività diremmo oggi preventiva, allo scopo di evitare che le piccole donne prendessero la strada della prostituzione. Continua >>

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L’industria del mattone a Roma ha una storia millenaria che in sostanza nasce contemporaneamente alla fondazione della città. In epoca recente la produzione dei laterizi si è spostata a ridosso delle mura della Città del Vaticano, dove oggi scorre via delle Fornaci. La via deve il suo nome proprio ai forni che nel Seicento sbuffavano fumo e fiamme per creare gli elementi necessari a costruire palazzi e la nascente basilica di San Pietro.

Tra le pagine di questo libro, abbiamo già parlato della porta Fabbrica, murata, che un tempo serviva proprio per collegare la zona delle fornaci con il Vaticano. Oggi non rimane più nulla se non il nome della via e quello quasi del tutto ignorato della porta.

Raccolta Roma sparita

Raccolta Roma sparita – Via Baldo degli Ubaldi 1959

Negli anni che seguirono, le fornaci traslocarono di un paio di chilometri a nord oltre al cosiddetto monte del Gelsomino, presso un’area estesa fino a lambire l’odierno Piazzale degli Eroi e che ancora oggi preserva il nome antico, Valle dell’Inferno. Piuttosto singolare trovare una valle così denominata a pochi metri dalla città Santa! Eppure non si tratta solo di semantica, la valle era davvero infernale sia nell’aspetto e sia nelle condizioni di vita di chi ci abitava. Se ci fossimo affacciati dalle mura vaticane due secoli fa, magari al crepuscolo, la scena sarebbe stata inquietante. Decine di casolari e ciminiere illuminate dal bagliore del fuoco vivo, colonne di fumo e gente in perenne movimento, sudicia, intenta nel trasporto di argilla, carbone e mattoni su carrocci di legno. Una di quelle ciminiere è ancora sorprendentemente in piedi, ma per poco se qualcuno non interviene con urgenza. Si trova in via Baldo degli Ubaldi a ridosso del cavalcavia ferroviario. È quel che resta della fornace di Girolamo Veschi, uno dei più importanti produttori di allora. Continua >>