Categorie Editoria Pillole&Chicche de Roma nostra Ultimi arrivi Ultimi arrivi CDR Scritto da Er Pasquino martedì, 20 Settembre alle ore 08:50
Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter Si fa un gran parlare di quale sia la zona più malfamata di Roma, quale sia il vero Bronx all’ombra del cupolone. Stilare una classifica sarebbe un’impresa piuttosto ardua, anche per la difficoltà di definire i parametri per misurare quanto una zona sia più o meno malfamata. Se prendessimo gli scippi come unità di misura, ad esempio, scopriremmo le zone del centro storico in cima alla classifica mentre per molestie domestiche dovremmo cercare più in periferia. Non è di Corviale, Laurentino 38, Tor Bella Monaca o altre aree della periferia cittadina di cui vogliamo argomentare, bensì di alcune zone considerate malfamate nella Roma del passato. Iniziamo dalla Roma più antica, qui dal tempo della Repubblica esisteva una zona dove abitava la popolazione meno abbiente. Si chiamava Suburra, e corrispondeva in gran parte all’odierno rione Monti. Si sviluppava a partire dalla zona dei Fori imperiali lungo l’odierna via Leonina e via della Madonna dei Monti. Esistevano una Suburra Minor e una Maior, quest’ultima corrispondente all’area alta attorno alla chiesa di San Pietro in Vincoli, piuttos to ben frequentata. La Suburra minor era il vero Bronx di Roma, malfamato, pericoloso e insalubre, non meritava neppure di essere parte della città vera e propria, era una città inferiore, una sotto-città da cui il nome Sub-Urbe, poi tramutato in Suburra e adattato nella parola italiana “suburbio” o ancora più evidentemente nella parola inglese suburb. Era un intricatissimo reticolo di vicoli, alcuni larghi appena per il passaggio di una persona, con case in legno alte fino a quattro piani, fogne all’aria aperta e acqua corrente solo per le fontanelle pubbliche, botteghe artigiane e spacci di ogni genere. Girare per la Suburra significava rischiare la vita sia per i probabili brutti incontri sia per le condizioni igieniche e di sicurezza. Un’eloquente segno di quella città minore, di quel degrado, sopravvive sorprendentemente fino ai giorni nostri. Non a caso quegli strani blocchetti sono ricavati da un tipo di pietra che i romani consideravano resistente al fuoco e uniti tra di loro per mezzo di perni a secco senza malta. Oggi il rione Monti ha sicuramente perso l’etichetta di zona malfamata, e si percepisce a malapena un clima ancora popolare. Nel Medioevo e fino a poco meno di due secoli fa, un piccolo angolo ambiguo e pericoloso si trovava lungo la breve via di Panico a ridosso di ponte Sant’Angelo. A quel tempo non esisteva ancora né il Lungotevere e neppure corso Vittorio Emanuele. Entrare in via di Panico significava accedere all’imprudente labirinto di vicoli del Campo Marzio, popolati di gentaglia abile con il coltello, pronta a derubare il romano sprovveduto o il pellegrino appena giunto in città. Nel famoso monologo popolare romanesco Er Fattaccio, Americo Giuliani scrive: «Poi, Giggi se cambiò!!! Poi, Giggi se cambiò!!! se fece amico co’ …… – Ah bojaccia!!!… infamone scellerato’… (si copre il viso con raccapriccio; ma l’eco lontano di una marcia funebre che viene dalla strada lo riscuote: e pallido per l’emozione, balbetta) Sarà mamma che passa!! (scoppia in un irrefrenabile singhiozzo) Mannateme ar Coeli.
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