giovedì, Dicembre 12, 2024 Anno XXI


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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


  1. I LUOGHI DELLE PUBBLICHE ESECUZIONI

L’ultima esecuzione pubblica di Mastro Titta, detto “er boia de Roma”, avvenne il primo di agosto del 1864 in via dei Cerchi. Quel giorno la lama della ghigliottina tagliò la testa del brigante Domenico Antonio Demartino.

( Per chi volesse fasse der male oppure è solo curioso potete scaricarvi il libro scritto da Mastro Titta qui … buona lettura … Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati. brrr)

Ultima

Esecuzione Monti e Tognetti

Le piazze e le strade della città erano assuefatte da secoli a ospitare il macabro spettacolo della pena capitale. A ponte Sant’Angelo, nella piazzetta davanti al portone d’ingresso del castello, era sistemata una tra le forche più popolari della città. Un’altra si trovava a piazza del Popolo, una a Campo de’ Fiori e anche a piazza della Rotonda. Non erano installazioni permanenti ma in alcuni periodi le esecuzioni si susseguivano a un ritmo così serrato da richiedere la presenza costante del patibolo, assemblato con tutti gli ingranaggi, le corde e i meccanismi per impiccare, mozzare, tagliare, squartare i malcapitati.

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Targa alla memoria dei carbonari Targhini Montanari

A piazza San Pietro, durante le delicatissime operazioni per l’installazione dell’obelisco, una forca serviva da efficace deterrente contro il chiasso. Un’ordinanza speciale del papa condannava a morte per direttissima chiunque avesse fiatato. Come se non bastasse, era pratica comune issare o appendere le teste dei condannati in giro per le strade, in bella mostra su pali o rinchiuse dentro delle piccole gabbie collocate nei luoghi più frequentati.

Uno di questi era Porta Angelica, presso l’odierna piazza Risorgimento. Piccole gabbie contenenti le teste dei condannati davano il benvenuto ai viandanti in entrata a Roma. Un chiaro monito che la legge era severa contro i trasgressori.

Un detto romano risalente alla fine del Cinquecento ricorda eloquentemente che c’erano più teste mozzate a ponte Sant’Angelo che cocomeri al mercato.

Il giorno dell’esecuzione i condannati erano portati in solenne processione attraverso le vie della città, seguiti dalle autorità ecclesiastiche, i membri delle confraternite con cappuccio e lunghi mantelli, i familiari e una folla di popolo incuriosito. La processione, preceduta da una croce coperta da un drappo, si muoveva lentamente tra cantilene, lamenti e preghiere. Il boia attendeva il condannato presso la forca per compire l’ultimo atto della vita di quei poveretti, con il cappio che strangolava, la lama della ghigliottina, un colpo di mannaia o una martellata in testa. Tra la gente che assisteva i condannati, un ruolo di particolare rilievo lo aveva la confraternita della Misericordia di san Giovanni decollato.

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I confratelli avevano il compito di confortare il condannato e aiutarlo a pentirsi per salvargli almeno l’anima poiché il corpo sarebbe dì li a poco diventato carne da macello. Il giorno precedente l’esecuzione, i confratelli si recavano in processione notturna verso la prigione del condannato. Procedevano incappucciati e avvolti da neri mantelli per le vie buie alla luce delle torce e suonando una campana. Era il segnale che all’indomani avrebbe avuto luogo un’esecuzione. Anche dopo il trapasso alla vita eterna, la confraternita si occupava di seppellire i defunti. Nella chiesa a loro dedicata alla base del Campidoglio, si possono visitare tuttora le fosse comuni riservate a quella povera gente. In un piccolo museo sono conservate le ceste per raccogliere le teste dei ghigliottinati, le lettighe per trasportare i corpi, l’inginocchiatoio utilizzato da Beatrice Cenci prima di subire anche lei il taglio della testa e persino la sentenza di morte di Giordano Bruno. Alla confraternita era riservato il singolare privilegio di donare la grazia a un condannato a morte a loro scelta. Il fortunato era estratto a sorte in occasione della festa di San Giovanni il 29 di agosto.