venerdì, Marzo 29, 2024 Anno XXI


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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


Nel 1840 a villa Torlonia s’inauguravano due grandi obelischi che possiamo ancora oggi ammirare nel parco. La storia del loro trasporto è il resoconto di un’affascinante impresa di coraggio, navigazione e ingegneria che non è eccessivo definire titanica. Un anno prima, due steli di granito rosa vengono intagliate nelle cave di Baveno presso il lago Maggiore. Già dalle prime fasi del trasporto iniziano le difficoltà.

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Il Fortunato

La cava si trova a quattro chilometri dal lago in posizione sopraelevata, gli obelischi sono alti dieci metri e insieme arrivano a un peso di quasi cinquanta tonnellate. Giunti sulla riva, sono adagiati su tre grossi tronchi d’albero e fatti navigare attraverso il Ticino fino alla rete dei navigli milanesi, per poi continuare attraverso canali interni verso il Po e l’Adige fino a Venezia. Don Giovanni e Donna Anna, così sono soprannominati i due obelischi, vengono adagiati con un complesso sistema di argani su un battello appositamente costruito, il Fortunato, che avrà il compito di accompagnarli fino a Roma.

Giunto presso il Tevere il Fortunato inizia la risalita facendo eco alle medesime imprese svolte dagli imperatori romani per il trasporto degli obelischi egizi fino nel cuore della città. Il battello è legato a due carri trainati da due gruppi di bufali che risalgono il fiume su entrambe le sponde. Giungono a San Paolo dopo un giorno e mezzo di navigazione. A questo punto gli ingegneri prendono una decisione coraggiosa: invece che via terra, decidono di proseguire la navigazione controcorrente fino all’Aniene e risalire questo fino a ponte Nomentano.

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Il Fortunato viene messo a secca

Impresa non da poco perché il traino con i bufali doveva avanzare dentro la città con gli ostacoli di ponti e interi isolati a picco sul fiume che lasciavano ben poco spazio per il traino. Mancano quasi nove chilometri a destinazione, Fortunato attraversa lento la città tra lo stupore dei romani, fino a lasciarsi alle spalle l’ultimo ponte sul Tevere, ponte Milvio. Poco più a nord devia a destra entrando nel letto dell’Aniene, supera ponte Salario e giunge in vista di ponte Nomentano. A un passo dalla meta, il battello tocca il fondo e si arena. Il fiume in questo punto è molto stretto e la navigazione diventa impossibile. La soluzione più ovvia è quella di issare gli obelischi su un carro e trainarlo fino a Villa Torlonia.

Dopo qualche esitazione si decide di raggiungere via terra la Nomentana con tutta la nave! Questa viene trascinata fuori dal fiume (andate a vedere quanto è ripido…), sistemata su ruote e trainata per due chilometri in aperta campagna fino alla Nomentana. Con la velocità di appena un metro al minuto, da far invidia a una lumaca, si fa largo tra campi coltivati e antiche rovine fino a destinazione.

Gli scalpellini incisero igeroglifici a imitazione di quelli egizi, e il 4 giugno e il 26 luglio i due giganti furono issati alla presenza del duca Torlonia, papa Gregorio XVI e del popolo di Roma in festa. Tra la gente, anche Giuseppe Gioachino Belli fu testimone della conclusione di quel sensazionale trasporto.

La storia si ripeté, in qualche modo, durante il ventennio fascista quando l’obelisco del Foro Italico fu trasportato da Massa Carrara fino a Roma e poi lungo il fiume, questa volta con un battello a motore, fino al luogo dove si trova oggi. Di quell’impresa si conserva un interessante documentario video, accompagnato dal commento pomposo e trionfante tipico di quell’epoca.




Ricordiamo sempre che gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter