venerdì, Giugno 06, 2025 Anno XXI


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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


Si fa un gran parlare di quale sia la zona più malfamata di Roma, quale sia il vero Bronx all’ombra del cupolone. Stilare una classifica sarebbe un’impresa piuttosto ardua, anche per la difficoltà di definire i parametri per misurare quanto una zona sia più o meno malfamata. Se prendessimo gli scippi come unità di misura, ad esempio, scopriremmo le zone del centro storico in cima alla classifica mentre per molestie domestiche dovremmo cercare più in periferia. Non è di Corviale, Laurentino 38, Tor Bella Monaca o altre aree della periferia cittadina di cui vogliamo argomentare, bensì di alcune zone considerate malfamate nella Roma del passato. Iniziamo dalla Roma più antica, qui dal tempo della Repubblica esisteva una zona dove abitava la popolazione meno abbiente. Si chiamava Suburra, e corrispondeva in gran parte all’odierno rione Monti. Si sviluppava a partire dalla zona dei Fori imperiali lungo l’odierna via Leonina e via della Madonna dei Monti. Esistevano una Suburra Minor e una Maior, quest’ultima corrispondente all’area alta attorno alla chiesa di San Pietro in Vincoli, piuttos

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Suburra

to ben frequentata. La Suburra minor era il vero Bronx di Roma, malfamato, pericoloso e insalubre, non meritava neppure di essere parte della città vera e propria, era una città inferiore, una sotto-città da cui il nome Sub-Urbe, poi tramutato in Suburra e adattato nella parola italiana “suburbio” o ancora più evidentemente nella parola inglese suburb. Era un intricatissimo reticolo di vicoli, alcuni larghi appena per il passaggio di una persona, con case in legno alte fino a quattro piani, fogne all’aria aperta e acqua corrente solo per le fontanelle pubbliche, botteghe artigiane e spacci di ogni genere. Girare per la Suburra significava rischiare la vita sia per i probabili brutti incontri sia per le condizioni igieniche e di sicurezza. Un’eloquente segno di quella città minore, di quel degrado, sopravvive sorprendentemente fino ai giorni nostri.
Da via dei Fori Imperiali, guardando verso il foro di Augusto e il tempio di Marte Ultore, si vede un altissimo muro in blocchi di pietra grigia che sfiora i trentatré metri d’altezza. Fu fatto costruire in epoca imperiale proprio per proteggere dagli incendi la zona sfarzosa dei fori da quella malfamata della Suburra. Continua >>

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Rupe Tarpea

Roma è la città dei sette colli, cresciuta su altrettante alture, comprese all’interno di una cinta muraria primitiva, edificata da Servio Tullio, il sesto dei sette re. Celio, Esquilino, Viminale, Quirinale, Aventino, Palatino e Campidoglio erano i nomi dei colli che offrivano rifugio strategico, ma soprattutto salubre in posizione più elevata rispetto alle pianure infestate dalla malaria e spesso inondate dal Tevere. Ai giorni nostri non è facile rintracciare e apprezzare le alture, il fitto tessuto urbano e la sovrapposizione di vari strati nel corso dei secoli nascondono le pendici naturali, trasformandole in semplici strade in salita che attirano poca attenzione. Continua >>

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Er Ponentino

È semplicemente la distorsione popolare del nome di uno dei venti principali, il ponente, che soffia da ovest. La posizione geografica di Roma fa sì che questo vento spiri la sera dal mare con debole
intensità e principalmente d’estate.

Allora il ponentino è fresco sia perché proviene dal mare sia perché si alza verso sera, quando la temperatura cala. Sono proprio queste caratteristiche che hanno fatto guadagnare al ponentino l’affetto popolare. È considerato un vento malandrino, che facilita l’innamoramento. Una frescura che accompagna il mangiare all’aperto, tipico della tradizione romana.

Una voce piuttosto recente vuole che questo vento che ha accompagnato per secoli la nostra città si sia interrotto. Non per un capriccio di Eolo, bensì per lo sbarramento che avrebbe creato l’enorme edificio del Corviale lungo la via Portuense, proprio a ovest di Roma. Continua >>

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Isola Tiberina

Fin da tempi antichissimi l’isola Tiberina era assimilata a una nave che solcava le acque del fiume. Sulla direzione di questa ideale navigazione gli storici sono incerti: risaliva il fiume? O scorreva agevolata dalla corrente verso il mare? Quello che è certo è che già in epoca imperiale era rivestita di marmi che ne seguivano la forma, alcuni dei quali sono tutt’ora visibili sul lato che volge verso il Ghetto, sotto la scala che porta agli uffici della polizia fluviale.

A completare la similitudine, un obelisco ornava il centro dell’isola come fosse l’albero maestro di un’imbarcazione. L’obelisco ebbe una storia piuttosto sfortunata, al contrario di molti suoi simili sparsi in giro per la città, perché non trovò sistemazione al centro di piazze monumentali, sopravvisse fino al Cinquecento per poi essere smembrato e suddiviso in ben tre luoghi lontani da Roma: al museo nazionale di Napoli, a Parigi e a Monaco di Baviera. Al suo posto fu sistemato il monumento che ammiriamo oggi, piuttosto singolare a Roma.

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Isola Tiberina

Si tratta di una guglia con quattro statue di santi su ciascun lato. I romani la soprannominarono “la colonna infame” da quando il governo pontificio la usò per affiggere la lista con i nomi dei cittadini scomunicati per non aver osservato il precetto pasquale, per otto giorni a partire dal 24 agosto, festa di San Bartolomeo, titolare dell’omonima basilica sull’isola, e la tradizione rimase attiva fino alla fine dell’Ottocento. Continua >>