martedì, Maggio 14, 2024 Anno XXI


Vediamo adesso come i poeti romaneschi hanno interpretato la storia e la leggenda a proposito di questo evento.
Leggiamo cosa dice il più grande di tutti, rivolgendosi…

A PADRON MARCELLO

Chi ha fabbricato Roma, er Vaticano,
er Campidojo, er Popolo, Castello?
Furno Romolo e Remolo, Marcello,
che nisun de li dua era Romano.

Ma volenno uno e l’antro èsse sovrano
de ‘sto paese novo accusì bello,
er fratello nemico der fratello,
vennero a patti cor cortello in mano!

Le cortellate agnedero a le stelle,
e Roma diventò dar primo giorno
com’è oggi: ‘na torre de Babbelle!

De li sfrizzoli, ognuno ebbe li sui:
e Roma, quelli dua la liticorno,
ma venne er papa, e se la prese lui!

G.G.BELLI

Un poeta moderno, Bruno Fiorentini, ha scritto una STORIA SEMISERIA DI ROMA ANTICA in sonetti: ne trascriviamo qualcuno per cambiare punto di vista. Iniziamo dagli antenati:

OVVEROSII: LI MORTACCI NOSTRI

La storia principiò, si come sanno
inzin li pupi da le prime pappe,
co Enea trojano, poi ch’annò freganno
pe mezzo monno, e qui posò le chiappe.

Indifficile a disse er come e er quanno,
fra momenti de gloria e lippe-lappe,
er bon Virgijo ce sudò quarch’anno
a spreme er sugo e disegnà le mappe.

Je faceva bon gioco padre Enea
pe coprì le vergogne co ‘na foja:
fàsse razza d’eroi, fiji a ‘na dea!

Ma gratta gratta, e taja, e cala, e sbroja,
in fonno se vantaveno a l’idea
d’èsse li fiji (eh, sì) de ‘na gran …Troja.

Bruno Fiorentini continua confermando “l’origine” dei gemelli:

L’INGHIPPO

Parlo d’Amulio. Un giorno che se sbrija,
scatena in Arba Longa una gran buja
pe falla in barba a tutta la famija:
la corona regale era la puja.

Dà addosso ar re leggittimo e l’umija
sbattennolo filato in gattabuja.
E la fija de lui? Povera fija,
la fa “vestale”, e pò cantà alleluja.

L’antro a strillà: ma nun se mosse paja.
Pe poco nun schiattò da la gran doja,
ma nun s’intenerì quela canaja.

Rea Sirvia, che ciaveva quarche voja,
se la levò co Marte, un dio de vaja,
ma pagò er fio d’ogni vestale troja.

Vediamo come Bruno Fiorentini descrive la lite tra Romolo e Remo, a seguito della disputa tra chi avesse visto più uccelli…

LA LITA

-Viè sotto tu, sor Rompi, che te corco!-
Quarche pacere fece scenne er prezzo
e finì cor un –Vaffa..- e un –Brutto porco!-
Ma nun era che er solito intermezzo.

La spuntò Romoletto e tracciò er sorco.
Quell’antro lo smicciava co disprezzo
ner mentre, travestito da biforco,
arancava cor bove già da un pezzo.

E al’improvviso (possin’ammazzallo!)
com’a dì –T’ho fregato!-, com’a dì,
fece ‘no zompo e se piantò a cavallo.

Romolo, qui l’avevi da sentì!
E, pe imparaje che ‘n doveva fallo,
pijò un tortore e l’ammazzò lillì.

Passiamo ad un altro grande interprete della poesia romanesca: Giorgio Roberti.
Nella sua rivisitazione del 21 aprile, l’attenzione è concentrata sui “gemelli”.

Un aratro, du’ bovi maremmani,
quattro fossi, e sò fatti li confini.
Quelli che stanno drento sò romani,
quelli che stanno fora sò burini.

A ‘sto punto, li giovani sovrani
incominceno a fà li litichini
(uno è più duro de li monticiani,
l’antro somija a li trasteverini).

-Mbè, come la chiamamo?- – Je mettemo
er nome mio- fa Romolo. – E’ più cicia
se porta quello mio- risponne Remo.

Roma o Rema? Sbrilluccica er cortello…
Roma è nata co tanto de camicia,
però se perde subbito…un gemello.

Vediamo come Antonio Delle Piane, altro contemporaneo, riesca a intuire cosa ci potrà essere dopo quel 21 aprile:

Vanno, aggiogati assieme, vacca e toro,
verso la Murcia e tracceno le mura.
Nun senteno la fame, né l’arzura:
je preme solo de finì er lavoro.

Dar Celio pe la Velia, insino ar Foro
er quadrato se chiude e, sull’artura
piantata in mezzo, ride la natura
e cià stampato “Roma” a lettre d’oro.

E mentre er Campidojo e l’Aventino
je fanno intorno intorno ‘na raggera,
drento s’arza solenne er Palatino.

Mo, sò appena ‘na mucchia de capanne:
ma poi nun basterà tutta la tera
pe quanto Roma sarà forte e granne!

Tra la leggenda e la storia, gli archeologi hanno il compito di dimostrare attraverso i ritrovamenti (quindi cose “vere”), quello che gli uomini hanno “veramente” fatto. L’interpretazione del “perché” le cose siano state fatte, è il nocciolo del problema.
Vediamo che cosa è stato ritrovato e interpretato dagli archeologi: innanzitutto il calendario. La maggiore fonte sta nelle epigrafi: dimostrano che il calendario era di dieci mesi, che l’anno iniziava a marzo, con la primavera, con la nascita degli agnelli e dei capretti, che veniva festeggiata ad aprile, nel giorno dedicato a Pales, una dea del Palatino. La festa si chiamava Parilia (da “parere”, partorire) e cadeva il 21.
Era il vero capodanno dei pastori che occupavano il Septimontium (sette monti, ma che non sono i “sette colli” che conosciamo, ma: Germalus, Palatium, Oppium, Cispius, Fagutal, Velia, Caelius).
Quale giorno migliore per fondare una città “ex novo”?
Rifacendosi alle tre imprese di Romolo, gli archeologi hanno scavato e scavato e hanno trovato i resti di un “auguratorium” (una specie di recinto con un sedile): per vedere i segni del cielo e trarre un “augurium” (da “augere”, aumentare) o benedizione che sia. Questo recinto è stato trovato sul Palatino (che con l’altra cima, Germalo, forma il colle).
Secondo la leggenda, Romolo per stabilire da dove dovesse iniziare a tracciare il solco, si reca sull’Aventino, prende la rincorsa scendendo verso la valle Murcia (dove oggi è il Circo Massimo) e lancia un giavellotto di corniolo: là dove si conficca, diventa immediatamente un albero. Il segnale dato dal cielo per iniziare il solco. Sono state trovate radici fossili di corniolo alle falde del versante est del Palatino (inizio via del Cerchi, sotto il palazzo dei Flavi). Certo, questo non autorizza a credere all’incredibile, ma a dare una spiegazione alla leggenda: il corniolo c’era, la leggenda è la lancia.
Pochi metri più in là, due anni fa è stata fatta la scoperta di una grotta-tempio del periodo augusteo, intarsiata di mosaici splendenti con tessere in oro, pitture parietali di grande pregio a carattere rituale: sappiamo che Augusto, per onorare i suoi avi (la “gens” Julia si diceva discendere da Julo, quindi da Romolo) aveva fatto restaurare ed abbellire il “Lupercal”, la grotta dove Romolo e Remo erano cresciuti.
E’ impossibile stabilire se effettivamente quella grotta sia stata effettivamente la prima abitazione dei due gemelli: sicuramente Augusto non ha fatto sistemare una grotta “qualsiasi”.
Da dove partire quindi per iniziare a tracciare il famoso solco, se non dalla propria casa?
Il solco, e quindi il limite della città, parte dalla base del Germalo (piazza S. Anastasia), verso sud (via dei Cerchi), poi verso est (via di S. Gregorio), poi verso Nord (parallelo alla via Sacra, sotto gli Orti Farnesiani): dove sarebbero state aperte le porte, Romolo alza il vomere e interrompe la traccia. La porta verso nord era chiamata Mugonia: è stata ritrovata. Consiste in una soglia di pietra, con grossi pali (stipiti) ai lati, con i resti di una capanna addossata alle mura di cui si sono scoperte fondazioni e parte dell’alzato.
La leggenda dice che i riti ancestrali prevedevano anche il sacrificio umano: sotto la soglia della porta Mugonia, sono state trovate le ossa di una bambina, il suo corredo funerario ed una coppa di ceramica databile tra il 775 e il 750 evo antico.
La data è giusta, il rituale, anche.
E’ proprio il caso di parlare di “leggenda”?
Passiamo ai ritrovamenti relativi alla seconda e terza impresa di Romolo, che si intrecciano tra di loro: l’ordinamento.
La leggenda dice che il luogo destinato a diventare il Foro, non fosse altro che una palude, visto che il livello si trovava al di sotto del letto del fiume, e che Romolo fu costretto a riempirla di terra per sollevarla e renderla salubre. Poi, sempre secondo la leggenda, Romolo costruì il tempio Vesta ed il Volcanal (tempio di Vulcano).
Gli storici hanno sempre obiettato che il culto di Vesta iniziasse a Roma dopo il VI secolo e che il Volcanal fosse un tempio mitico.
Gli archeologi hanno trovato sotto al foro, una grossa quantità (circa sei metri) di terra di riporto (proveniente dai colli vicini) ed i resti del Volcanal. Studi recenti hanno poi dimostrato che il culto di Vesta fosse molto anteriore al VII secolo.
La leggenda prosegue raccontando come Romolo trasferisse la sua abitazione dalla “casa Romuli” sul Palatium alla “domus regia”, ai margini del Foro.
Dopo aver ritrovato i resti della “casa Romuli”, gli archeologi hanno trovato nel Foro, all’altezza della via Sacra, i resti di una capanna particolare, con un “tabernaculum”, una grande sala con un bancone-sedile che girava tutto intorno, ai lati stanze di abitazione, un “templum” augurale, un focolare. I resti di un’altra bambina col suo corredo funebre consente di datare questa specie di palazzo-capanna al 750-725 evo antico. Gli archeologi hanno ricostruito le varie modifiche: negli anni attribuibili ad Anco Marzio, i muri diventano a scaglie di tufo e il tetto in tegole e verrà dotata di una conduttura: il primo fognolo che si conosca.
La costruzione di successivi templi ha impedito di trovare con esattezza il primo tempio di Vesta, ma sono state trovate con certezza le stanze dove le vestali abitavano: sei camerette a tecnica capannicola intorno ad una capanna più grande con al centro un focolare. Del misterioso “penus” al cui interno veniva conservato un fallo magico attribuito a Marte, nessuna traccia. (ste vestali, eh…)
Sotto quello che era considerato il primo pavimento del Foro, databile al VII secolo, ne è stato trovato un altro di terra riportata e ciottoli da giardino, databile alla seconda metà del secolo VIII: un’opera forse concepita da Romolo e finita da Numa?
Secondo la solita leggenda, Romolo fu ucciso (o morì, o sparì, o volò in cielo) nel Volcanal: ogni “consigliere” (senatore?) ne prese un pezzo e lo seppellì nel proprio rione in modo che ogni “tribus” avesse una reliquia del fondatore.
Accanto al Volcanal sono state ritrovate tracce del Comitium: la sala regia dove i proto-senatori si riunivano nella primitiva assemblea organizzata per curie o rioni.
Dopo aver ucciso Acrone, re di Caenina, che non voleva la città e non voleva il re e non voleva lo stato, Romolo appese le sue armi ad una quercia sacra che stava nel Capitolium. La leggenda continua dicendo che Romolo guida una processione dal Lucus Streniae (via del Boschetto, inizio via Cavour) al Campidoglio e accanto alla quercia sacra fonda il tempio di Giove Capitolino. All’interno del tempio era conservato il “lapis silex”: un’ascia di pietra con manico di legno considerata la materializzazione di un fulmine scagliato da Giove, perché sfregandola mandava scintille.
I resti del tempio di Giove sono ben evidenti nel cosiddetto “giardino d’inverno”, ampliamento del museo capitolino, come i resti della solita bambina (stavolta chiamata “Romoletta”) databili alla metà del VIII secolo.
Il Lapix Silex era lo strumento con cui si sacralizzavano i giuramenti: l’origine dello “ius” (da “ius iurandum”, patto giurato), ovverosia il diritto.
La leggenda relativa alla terza impresa di Romolo, è riferita all’ordinamento del tempo, degli uomini e dello spazio di Roma.
La ricostruzione del calendario romuleo ha portato a dimostrare che l’anno iniziava e finiva secondo la durata della gestazione della donna: 274 giorni. Ma per arrivare ai 365 ne mancano 91: sono quelli in cui la donna che ha partorito è sterile. Quindi i romani rappresentavano sia la fecondità che la sterilità.
Per quanto riguarda l’ordinamento degli uomini, oltre a quanto detto sopra a proposito dei templi, della Domus Regia, del Foro ecc, ricordiamo che nella protostoria le necropoli costituivano i limiti dell’abitato: nessun “cittadino” veniva sepolto all’interno delle mura. Scavando scavando, i cimiteri ritrovati hanno consentito agli archeologi di delimitare i limiti della città ed il loro allargamento nel corso degli anni. Già dalla metà del IX secolo, non ci sono più tombe all’interno della città. Città che aveva un territorio ancora molto ridotto. Non ne facevano ancora parte i “septem pagi” (sette villaggi) che Romolo sottrarrà a Veio. La campagna, dove avevano trovato rifugio gli alleati di Remo (“ager Remorinus) non era altro che la zona dietro l’Aventino, dove oggi è Testaccio, Portuense, Eur: verrà anch’essa conquistata ed accorpata alla città. Poi fu la volta di Caenina, col suo re Acrone di cui abbiamo già detto; poi toccò ad Antemnae (monte Antenne, Salario); poi Crustumerium (forse Settebagni); Fidenae; Medullia (Porta Medaglia sull’Ardeatina). Il fatto leggendario di Tito Tazio che assedia il Capitolium dopo il ratto delle sabine, con Tarpeia che ne apre le porte; l’accordo di Romolo con il re sabino per l’amministrazione comune della città, difficilmente saranno dimostrabili. Gli scavi hanno però confermato che la città subisce un’evoluzione incredibile per l’epoca, con edifici pubblici e di culto che dimostrano un potere accentrato ma non dispotico, con presenza di un’assemblea e di un Consiglio e la divisione in rioni (tribus).
Quello che Cicerone descrive nel “De Re Publica” (della cosa pubblica) a proposito della terza impresa di Romolo, è stato sufficientemente provato dagli storici e dimostrato dagli archeologi che hanno individuato con sicurezza le prime curie o rioni (forse 27 in origine, sicuramente 30 alla fine del VII secolo) abitate dalle tribù dei Ramnes, dei Luceres e dei Titienses. Così come è stato provato che la città etrusco-latina si fonda ex novo e con una forma di governo autoritaria ma non dispotica, come dimostrano le differenze tra gli edifici regali di Etruria, Latium e della Grecia stessa, dove il re è un “primus inter pares”, se poste a confronto con le regge di Creta o dell’oriente tutto, dove il despota risiede in un palazzo enorme, chiuso alla cittadinanza, inavvicinabile.
E’ la grande differenza culturale che porterà un villaggio a dominare il mondo.
(continua leggendo le poesie …)

Gli storici hanno più volte ridotto la leggenda a pura tradizione, cercando di rendere meno fantasiosi i fatti.
Si parla quindi di un agglomerato di villaggi protostorici che nel VII secolo evo antico creano un sistema federato di amministrazione e di mutua difesa che si evolve in città, alla maniera delle città-stato greche.
La forma di governo si rifà ad una monarchia (con una certa costituzionalità) che poi verrà soppiantata dalla repubblica.
L’attribuzione ad un fondatore non è riconosciuta, ma il nome Roma viene giustificato dall’etrusco Rumen (fiume) o Rhuma (seno femminile), credendo al fatto che Romulus significhi “il romano” (fatto poi smentito dal nostro miglior linguista, Carlo De Simone, che ha dimostrato che Romolo era un nome proprio di persona, dalla radice etrusca: la stessa radice di Roma).
Non ci sono quindi mai stati “àuguri”, né aratri, né data di fondazione certa: soltanto la normale evoluzione di una coabitazione tra pastori e raccoglitori che ha portato un villaggio a diventare “Caput Mundi”.

(continua leggendo l’archeologia …)

Tutti sappiamo (o dovremmo sapere) della fuga di Enea da Troia, del suo arrivo sulle coste del “Latium”, del matrimonio con Lavinia figlia di Latino, del figlio Julo che fonda Alba Longa. Sappiamo che (lo conferma Esiodo nella sua Teogonia) Latino discende da Fauno, che discende da Pico, che discende nientemeno che da Marte.
La leggenda, dopo un “buco” non si sa quanto grande, riparte da Proca, re di Alba Longa, che ha due figli: Amulio (cattivo) e Numitore (buono).
Dovrebbe regnare Numitore, ma viene esautorato dal fratello e messo in prigione. Rea Silvia, figlia di Numitore, viene fatta Vestale e costretta quindi alla castità. Ma neanche una vestale può resistere ad un enorme fallo apparso dal nulla: il dio Marte si manifesta così, e la vestale rimane fregata (in tutti i sensi).
Enea fugge mentre Troia brucia

Enea fugge mentre Troia brucia

I due gemelli nati da questo po’ po’ di amplesso, Remo e Romolo, anziché annegati, vengono affidati al Tevere con un atto di pietà di un sicario dal cuore tenero.
Allattati da una lupa, vengo poi cresciuti dal pastore Faustolo e dalla moglie Acca Larentia (che aveva avuto già due gemelli, i Lari, attraverso un’unione con Mercurio, e che incontreremo ancora).
Arriviamo al 21 aprile 753 evo antico e ricordiamo il volo degli uccelli che attribuisce a Romolo l’incarico di fondare la nuova città (sul Palatium e non sull’Aventinum o addirittura nella zona dove oggi c’è l’EUR, come avrebbe voluto Remo), la traccia della Roma Quadrata con l’aratro dal vomere di bronzo (di bronzo e non di ferro, in quanto operazione di carattere “sacro”), l’apposizione dei Termini ai quattro angoli, la terra rimossa dall’aratro accumulata all’interno a formare un simulacro di bastione, Remo che la scavalca e che viene punito con la morte.
Seconda impresa di Romolo è il prosciugamento del Foro con la costruzione del tempio di Marte e Ops (dea dell’opulenza), la fondazione quindi del luogo pubblico per eccellenza, il trasferimento della sua “reggia” dal Palatium, ai limiti del Foro.
Terza impresa: la Constitutio Romuli ovvero l’ordinamento del tempo, degli uomini e dello spazio, con la formazione del calendario di dieci mesi e la divisione della città in rioni, distretti, “tribus” che forniranno gli uomini per amministrare e difendere la città.
Fin qui la leggenda.  (continua leggendo la storia … )