Da quando respiro l’aria di Roma, nei mille viaggi di andata e ritorno e partenze col magone, ho sempre avuto un’unica sensazione, che negli anni si e’ trasformata in certezza. Un mantra che si ripete ossessivamente negli anni.
Questa citta’, la prima della civilta’ in quanto a storia, passato, ricchezza monumentale, e’ e deve appartenere al suo popolo natio!
Alle persone che l’hanno costruita, protetta, portata in giro per il mondo con vanto.
Non e’ nazionalismo, non e’ mancanza di apertura. E’ una voglia innata di restituirle un vecchio splendore, lustro, regalita’.
Solo chi e’ nato in questa citta’, chi ce l’ha nel sangue o si e’ fatto adottare puo’ capirne il senso vero.
Stiamo parlando di ripartire dalle basi. Di rifondare il concetto di appartenenza. Di riunirsi per un obiettivo comune.
Per davvero pero’. I Vendicatori de no artri lasciamoli a Hollywood.
E’ molto semplice. Lo e’ sempre stato. Dai tempi di Giulio Cesare a ieri. Roma vuole moderni Gladiatori. Gente vera.
Vuole “Undici Florenzi”, il De Rossi sorridente, Totti di cui va seguito l’esempio e di cui va difeso il grado da capitano.
Roma vuole riportare a casa i Romagnoli, i Bertolacci, i Viviani. Atleti pronti, guerrieri solidi. Cori di Roma e della Roma.
Roma vuole gridare, urlare, sudare, spingere con e per loro. Ancora piu’ forte quando anche “loro” sputano il sangue che sputa Roma.
Il sangue, di colore rosso porpora, che ci costa sostenervi, venirvi a vedere, comprare le magliette, bandiere, vessilli.
Il vero Oro di Roma.
Roma non ha mai chiesto altro, era molto semplice. Bastava poco.
Nel frattempo, Roma perdona ma non dimentica. Ed a qualcuno, seduto comodamente in poltrona, sara’ tornata in mente quel verso che fa:
“Ma che ce frega, ma che ce importa, se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua, e noi je dimo, e noi je famo, c’hai messo l’acqua, e nun te pagamo”.
Esatto. “Nun te pagamo”. Quindi al prossimo giro e per i prossimi 5, mettiamoci il vino. Quello buono, de li Castelli. “Che noi se lo bevemo, e poi ja risponnemo, embe’, embe’, che c’è?”