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lunedì, 25 Febbraio alle ore 01:11
Nel giorno in cui mancavano il Faro e il Mare, la Roma vince e convince fuori
casa e soprattutto contro l’avversario che gli era sempre stato più ostico in
terra longobarda. Se poi in campo vedi questo Pjanic allora pensi che tutto è
possibile, come il sole che scalda tutto mentre fuori nevica, anche nella
giornata in cui Osvaldo e Lamela sembravano i gemelli brutti di sabato scorso.
Più forti della tradizione, contro un rivale, un certo Denis, che quando ti
vede ti segna sempre. Più forti del clima. Nel giorno dell’election day il vero
vincitore è ancora una volta il sor Aurelio, con un nome troppo romano per non
esser romanista. La Roma bianca come la neve, va in svantaggio, pareggia,
rimonta, si fa agganciare e poi rinasce, oggi come non mai, come se la neve
fosse la cenere di un ricordo, di una stagione troppo brutta per non esser
ripresa. Oggi era più difficile della Juve, perché lì avevi uno stadio intero,
con mamma e papà che ti tenevano per mano (Totti e De Rossi). Oggi invece era
il bambino che doveva affrontare il primo giorno di scuola. Ma se hai un
Burdisso con una fascia da capitano (sempre sia lodato) al braccio, un Pjanic
che disegna parabole su punizione neanche fosse Giotto in una giornata di
Primavera, un Perrotta che ogni volta che lo vedi ti ricordi perché è stato uno
dei pochi ad esser sempre titolare nel mondiale 2006 ed infine ammiri un
Torosidis che si mangia la fascia come un toro nell’arena allora capisci che si
può fare. Qualcuno diceva: “non importa quanto tortuosa sia la strada, quanto
impietosa la sentenza, sono il padrone del mio destino, il capitano della mia
anima”. Si quella giallorossa. Dieci anni fà volava in Curva Paradiso un
signore lievemente romano e romanista, di nome e di fatto Alberto Sordi, uno
che ha regalato migliaia di sorrisi a milioni di persone. Qualcuno sussurra di
averlo intravisto dalle parti di Bergamo. Per questo oggi hanno vinto anche per
lui, per un Forza Roma che da qua giù è riecheggiato fin lassù.
Filiberto Marino
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domenica, 17 Febbraio alle ore 03:15
Dicono che le favole non esistono e che sono fatte per i bambini. Si sbagliavano di grosso. A tal proposito un signore di nome Nelson Mandela un giorno disse: “ un vincitore è un sognatore che non si è arreso”. Infatti nella settimana in cui Papa Ratzinger si è dimesso, Cellino è stato arrestato e un meteorite ha colpito la Russia, la vera notizia è un’altra. Si perché al tredicesimo minuto del secondo tempo di un Roma-Juve datato 2013, a 113 km orari, la Leggenda numero dieci della Roma sigla il suo decimo goal all’amico di sempre Gigi Buffon. Uno a zero e Totti-goal. Questioni di numeri e di traiettorie. Si perché giusto un paio di giorni fa tutte le tv mondiali avevano fatto vedere l’ asteroide caduto in terra russa, ma questa è la testimonianza che perfino la Nasa può sbagliare le sue previsioni, perché non aveva calcolato che il meteorite che non doveva cadere, è atterrato ieri notte all’ Olimpico. Imprevedibile come giusto che sia un gesto divino e non terreno. In quel tiro Francesco Totti ci ha messo tutta la sua rabbia, le 10 sconfitte in campionato, le chiacchere sul rigore contro la Sampdoria, le prese in giro di quel pagliaccio di Delio Rossi, il record di Nordhal, le faide tra guelfi e ghibellini romanisti. Un calcio che sembrava una parabola divina racchiusa nella potenza di un fulmine. Altro che quello su San Pietro. Il tiro della rivincita e della riscossa, perché era giusto cosi, come Dio comanda. Il tiro della vita che tutti i bimbi fantasticano contro la Juventus, sotto la Sud, meglio di un derby forse perché loro erano e rimangono sempre “gli imbattibili”. Il tiro dei sogni. Perché non può piovere sempre sul bagnato, perché quando tutto è contro vuol dire che i lupi di notte escono e vanno a cacciare in branco, perché i sogni non si possono rubare e qualche volte si realizzano. Ave Totti. Ecco ieri ha vinto la Roma, tutta, dal tifoso più giovane al Capitano. In mezzo il Mare giallorosso. Vedere e sentire Andreazzoli in stile Alpacino in “Ogni maledetta domenica” incitare i suoi nello spogliatoio prima della partita è stata tanta tanta roba, da brividi. Come Stekelemburg che toglie un goal già fatto a Pirlo, Piris che marca Matri di testa, Burdisso che mangia il cuore di Vucinic (SuperMirko chi?) Osvaldo che corre più di Bolt, Lamela che dribbla mezza Juventus come i ragazzini sulla spiaggia, Torosidis che imita Cafù e Ddr che si commuove a fine gara, come una finale, come una liberazione dopo nove anni di incantesimo spezzato. Vince la Roma contro tutto, contro la prima della classe, la squadra campione in carica,quella che aveva spopolato in Champions in terra scozzese e che invece ieri ha fatto solo due tiri in porta. Contro l’arbitro Rocchi, contro Orsato e Damato giudici di porta, contro Conte, e soprattutto contro tutti. Giacomino Losi l’aveva predetto in settimana, come nell’annata 57/58, quando perdemmo 3-1 in casa della Samp e vincemmo la domenica dopo contro la Juventus. Perché il presente è la memoria del passato. Ieri sera intorno alle 22.00 si è sentita una scossa di terremoto nella parte di Roma Sud, si sta ancora cercando l’epicentro, chiedete dalle parti dell’Olimpico, noi c’eravamo. Siamo la Roma, per sempre, finchè morte non ci separi.
Filiberto Marino
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lunedì, 11 Febbraio alle ore 03:07
Da Genova a terra di conquista a Genova terra di amarezza. Sampdoria aveva
voluto dire per Andreazzoli come vice Spalletti l’inizio di una bellissima
favola e forse per assurdo oggi ha significato la stessa cosa sotto sotto. Ci
sono partite in cui tenti di giocare ed è invece l’avversario a vincere come
capitato oggi alla Roma. Nessun alibi. Hai perso. Ti hanno fatto tre tiri, uno,
due, tre e fante, cavallo, re. Ma qualcosa di diverso c’è, il dolore della
sconfitta. Perché alla fine sul 3- 1 contro l’allenatore blucerchiato Delio
Rossi si è scatenata mezza squadra. Il veleno, quel famoso veleno che non si
era visto negli occhi degli sconfitti fino ad una settimana fa. Eppure tutti
dicono e diranno, ma come non era Zeman il colpevole? Hanno giocato
Stekelemburg, De Rossi e come mai la squadra giallorossa è scesa al nono posto
in classifica? Tutto vero, anche che il primo non è stato impeccabile sulle
reti doriane e il secondo (per sua stessa ammissione) ha commesso un errore
importante sul primo goal. Ma a differenza di qualche giorno fa, oggi il famoso
cuore si è visto, poi certo ci hai messo del tuo col rigore sbagliato e l’
arbitro del suo con un goal negato. Ma andiamo avanti, cambiamo pagina. Arriva
la Juventus e tutti si stanno già facendo il segno della croce. Eppure per
diventare una delle fenici più belle, devi prima bruciare del tutto per poi
rinascere ancora più forti e maestose. Adesso la rabbia avvolge tutto nel fumo
dell’amarezza, perché hai perso la decima gara di campionato, non hai ancora
vinto (a parte la Coppa) in questo anno solare e tra un po’ è carnevale. E se
proprio Totti and company per l’occasione facessero uno scherzo ai bianconeri?
Adesso si è in ballo e si deve ballare, da Andreazzoli a Svedkausas, dal primo
all’ ultimo. Bisogna ritracciare la rotta e seguirla anche in caso di burrasca,
si deve stare uniti, compatti e non mollare. Non è e non sarà facile ma la
Roma ce la può fare ed è obbligata a farlo, per il semplice motivo che ti
chiami, che si chiama Roma. Tutti uniti, per voltare pagina e spiccare il volo
dopo la tempesta. Senza polemizzare su doppie sedute, orari di allenamento, non
ritiri e cose varie. C’è la Roma il resto non conta. Quindi Forza Roma adesso
più che mai.
Filiberto Marino
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sabato, 2 Febbraio alle ore 03:35
La vergogna profilatasi ieri sera allo stadio Olimpico è di quelle cose che ti
fanno star male. Ma male male. Vedere la tua squadra e sentirti solo, come
internet senza il Wi-fi. Vedere tanto verde e non ved Continua >>
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