venerdì, Marzo 29, 2024 Anno XXI


Ci son cose che, nonostante ci si impegni alla morte, non vengono bene. Una di queste è parlare del presidente Dino Viola attraverso statistiche, documentazioni e quant’altro. Di lui si può parlare solo col cuore. Perché il suo grande cuore fu quello che guidò sempre la sua straordinaria intelligenza nel guidare la Roma.

Era nato ad Aulla, in una terra che non è, orgogliosamente, non più Toscana e non ancora Liguria. Ma Lunigiana. E lui era orgogliosamente lunigiano. Percorreva in lungo e largo in bicicletta, da ragazzo, le strade di casa. E un giorno ebbe ad imbattersi in una gentile donzella, Flora. Se ne innamorò e insieme vennero a Roma. “Ho sposato i colori giallorossi appena sbarcato a Roma. Mi sono innamorato di Testaccio, di questi colori, di questa gente”, raccontò al Guerin Sportivo nel 1981. Quella gente, i tifosi della Roma, coi quali nacque un rapporto fatto di amore e di rispetto, l’uno per gli altri e viceversa. Amore e rispetto che comunque andarono oltre anche incomprensioni e amarezze che, inevitabilmente, ne punteggiarono il cammino alla guida del sodalizio.
Portò le idee e la creatività al potere nel calcio, dove prima di lui i presidenti erano ancora i “ricci scemi” di stanza all’Hotel Gallia durante la campagna acquisti. Ma non dimenticò mai che il patrimonio vero di una società e una squadra, sono i suoi tifosi. “Dobbiamo prendere esempio dai nostri tifosi, sempre”, ebbe a dire dopo la sconfitta casalinga col Bayer nel 1985, che in pratica segnò la fine di un grande ciclo iniziato con la sua presidente nel 1979 e culminato nello scudetto del 1983. Amava visceralmente i tifosi della Roma, ma un posto privilegiato nel suo grande cuore occupavano i “suoi ragazzi”, gli esponenti della curva Sud. E quando, in quel di Torino, i “suoi ragazzi” incapparono nelle maglie delle forze dell’ordine in una sorta di indiscriminata retata, ricevuta la notizia si recò in questura e comunicò ai dirigenti: Di qui, senza i miei ragazzi non me ne vado”. E fu così. Sembra fantascienza, oggi, nel calcio di oggi, nella società di oggi.
Chi scrive, ebbe modo qualche anno fa di recarsi nel negozio di stoffe di Fausto Iosa per ricordare la straordinaria coreografia che il 16 marzo 1986, in occasione di un Roma-Juventus, colorò completamente di giallorosso tutto lo stadio Olimpico e ricorda come la commozione segnò la sua narrazione, nel momento in cui si parlava del presidente. Mi disse Fausto: Studiammo, in una riunione delle strutture organizzative della As Roma, il modo di realizzare una cosa tanto complicata. Tutti i dirigenti espressero parere negativo, perché il rischio di un flop era molto molto alto. Allora Viola mi prese da parte e mi disse: Fausto, io di te mi fido. Facciamolo! Il tutto contro il parere dei suoi dirigenti. Quel io di te mi fido, dette a tutti noi una forza incredibile. Ce la facemmo e la partita successiva, al centro del campo, Viola volle personalmente premiarci per l’impresa portata a termine”.
Altro calcio. Che nostalgia!