sabato, Maggio 10, 2025 Anno XXI


Oggi sarebbe troppo semplice dire che l’uomo partita è stato Balzaretti,
Ljajic o Totti (a proposito sempre sia lodato). L’immagine più sacra di oggi è
una soltanto, quella zazzerra bionda scintillante che al novantesimo, in
superiorità numerica, già con un cartellino giallo sulla testa a mò di
ghigliottina, si è immolata sul tiro di Ederson dentro l’area di rigore,
rischiando un intervento che in quel preciso momento è valso un’ intera
carriera. Si perché su quel tackle lo scenario per un secondo è svanito,
cambiato, sono venuti fuori tutti i fantasmi del passato, in tutta la loro
malignità, trainati da tutte le calunnie e le bugie che hanno colpito un
ragazzo diventato oramai uomo, che come unica colpa ha quella di aver detto che
il suo unico rimpianto è quello di poter donare una sola carriera alla Roma. Ma
si sa che uno scoglio non può arginare il Mare (di Roma) ed è per questo che
quel piede è diventato un ancora dove tutta la squadra, tutti i tifosi e tutti
i bambini con gli occhi pieni di speranza si sono attaccati, come a dire:
“Daniè adesso tocca a te salvarce”. E come se per magia, come per incanto, nel
momento in cui Francesco è uscito facendo il solito rito di passaggio della
fascia da Capitano da braccio a braccio, Daniele abbia capito che toccasse a
lui fare il goal più bello e forse il più difficile di una partita che durava
ormai da due anni e mezzo o forse da una vita. Ecco è esattamente li che la
Roma ha vinto, anzi ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, come ha detto
Garcia a fine gara. Certo la strada è lunga, forse lunghissima ma chi ben
comincia è a metà dell’opera. Come Balzagoal che per una domenica si è messo il
vestito buono, anzi la scarpa giusta, e sull’assist baciato di quel ragazzetto
con il numero dieci sulle spalle, ha calciato con tutta l’emozione che aveva
dentro. Da Federico (Balzaretti) a Federico (Marchetti) un pallone, anzi un
istante lungo un sogno, che sembra quasi uno specchio riflesso che s’infrange
in un’esultanza, in un pianto e in un abbraccio, come quelli che davi a tuo
papà la domenica mattina quando andavate a giocare a pallone al parco sotto
casa e il tuo sogno era quello un giorno di diventare l’uomo decisivo in una
partita memorabile. Detto fatto. Come Adem Ljajic, il ragazzino che adora la
nutella e che quando legge Lazio si scatena come un diabetico ad una gara di
merendine, siglando il quarto goal della sua carriera alla squadra dal colore
cosi celeste da aver vinto mille tempeste. D’accordo, ma questa volta ha vinto
la Roma. E chissà che un giorno, anche a costo di aspettare cento anni, verrà
rigiocata Quella partita, scrivendo un finale che nemmeno il miglior Shakspeare
saprebbe inventarsi. Adesso è tempo di saltare, di stringersi un po’, di gioire
in girotondo tutti insieme mano nella mano come un amplesso in movimento che
fonde la squadra e la Curva Sud come due metà dello stesso cuore. Nessuna
rivincita, nessuna vendetta, oggi c’è solo la Roma. Il viaggio è appena
cominciato, ma l’importante è crederci sempre, dall’inizio alla fine. Nella
settimana che ha portato alla firma della Leggenda eterna per altri due anni,
alla vittoria del Derby post 26 Maggio (o era 27?? Mah), del trentasettesimo
compleanno del Santo di Roma, la lezione da imparare è solo una, ovvero che la
Roma è prima, ma non per la classifica, ma perché ha ritrovato se stessa, l’
unico vero grande amore.

Filiberto Marino