sabato, Luglio 05, 2025 Anno XXI


Ci sono cose che non si posso spiegare, che non tutti possono vivere, perché è
qualcosa per pochi. Ieri sera la Roma sembrava il prossimo Titanic del 2013,
pronto a sprofondare nelle acque dello stadio Franchi contro un iceberg viola.
Ti pare che vai a vincere a Firenze? Ti mancano Totti, Osvaldo, Lamela, Nico
Lopez, Marquinho, Cafù, Candela, Pruzzo, Falcao e via discorrendo. La Roma è
cosi, può battere con chiunque e perdere contro chiunque, perché il peggior
nemico della Roma è la Roma stessa. E quei novantasei eroi andati in trasferta
fin li di mercoledi e con un grado sul termometro lo sanno bene. Uno come il
goal di Destro, novantasei come le occasioni avute dal ragazzo marchigiano
prima di centrare la porta, perché da una quarantina di giorni quel pallone era
diventato pesante come un macigno. L’ultima partita in cui era andato a segno
era proprio contro il suo ex Siena in toscana, per lui e per la Roma terra di
conquista almeno per quest’anno. Paradossalmente è stato più bello questo
match, del 4- 2 di un mese fa all’ Olimpico contro la stessa Viola dell’ex
aeroplanino Montella.Si perché quella era stata la partita da manuale
zemaniano, quella che poteva finire tanto a poco e che invece stavi rischiando
di pareggiare, uno spot vero per il calcio stesso. Questa invece no, siffatta
partita poteva finire solo 0-1 per la Roma, dopo 120 minuti e con un goal di
Destro. Era scritto nel destino di questa squadra, di questa città. Una partita
vinta soffrendo, con la tigna, con la testa ma soprattutto “cor core”. La
tradizione voleva che nei cinque incontri precedenti di coppa Italia i
giallorossi avevano sempre vinto a Firenze e l’ultima volta nel 2004 proprio ai
calci di rigore e dopo 120 minuti sofferti e tirati fino all’ultimo respiro. In
panchina c’era Bruno Conti, uno che conosce bene i giovani, ieri c’era Zeman
uno che i giovani li fa diventare giocatori. E poi si sa, le tradizioni sono
fatte per essere rispettate. Essere della Roma sta tutto in quella corsa
liberatoria sotto il settore ospiti, con i giocatori che saltano come bambini
al luna park e tu che sei contento davanti alla tv come se avessi vinto la
Champions League, invece di un quarto di finale di Tim Cup. Essere della Roma
significa vedere un biondo di Ostia con la fascia da capitano al braccio,
guidare tutti i suoi compagni più giovani in questa sfida epica, lottare su
ogni palla come se fosse l’ultima e vederlo urlare più di tutti a fine gara,
come se all’improvviso fosse il più piccolo del gruppo. Perché lui la Roma c’è
la dentro e quando bacia la maglia è come emozionarsi vedendo il bacio di un
uomo innamorato di un amore infinito, come perdersi guardando il mare. A volte
questo dice più di mille dichiarazioni. Che bello. Ecco queste sono cose che
quando le vivi capisci perché non potevi esse tifoso di un’altra squadra e
ringrazi Dio di esser nato romanista.
Filiberto Marino