giovedì, Aprile 25, 2024 Anno XXI


Nando spense la televisione e cominciò ad imprecare. Non era possibile che in tanti anni non fosse cambiato nulla. Si alternavano gli interpreti, ma lo spartito era sempre quello. Lui che aveva recriminato contro i favori riservati alla Juventus, e il gol di Turone ancora gli bruciava, ora si trovava a dire le stesse cose sull’Inter.
E pure le reazioni erano sempre le stesse, anche se un’intera generazione di commentatori televisivi, radiofonici e della carta stampata si era succeduta nel frattempo. Già li sentiva nelle sue orecchie i giustificazionisti per mestiere. «Torti e favori alla fine si compensano», «l’arbitro sbaglia come tutti, ma sempre in buona fede», «la squadra Xxxxx è talmente forte che non ha certo bisogno di questi favori» e via strisciando davanti al potente di turno. Si ripromise, quando avesse avuto un po’ di tempo libero, di fare una raccolta di queste frasi fatte. E magari glie l’avrebbero pure pubblicata.
Antonio si avvicinò a Nando mettendogli una mano sulla spalla per consolarlo. Antonio era di Maiori, sulla costiera amalfitana, e il suo cuore era solo per la Salernitana. Ma la lunga frequentazione con Nando, che per la Roma «se rodeva er fegheto» e la comune adorazione per il Capitano, per Agostino, l’aveva fatto diventare qualcosa di più di un simpatizzante romanista.
«Quello che proprio non sopporto – disse con voce alterata Nando – è la sfacciataggine con la quale questi qua fanno il comodo loro. Rubano sotto gli occhi di tutti e se ne vantano pure! Ma ci sarà pure una giustizia da qualche parte!» tuonò Nando dando un pugno sul tavolo talmente forte che per poco non lo incrinò.
Antonio cercava in tutti i modi di far ragionare il suo compagno. «In fondo, disse, è come se ci fossimo liberati. Lo dico parlando da romanista, ovviamente». «Sappiamo bene che questa Roma con tutti gli acciacchi che ha, con Totti fuori, non poteva arrivare in fondo in tutte le competizioni e poi domenica, c’è lo scontro diretto col Napoli» e pronunciò la parola «Napoli» con un tono sprezzante per giustificare il quale gli bastava la sua di fede calcistica, senza scomodare anche quella di Nando.
«Antò lo sai che te vojo bene come a un fratello, ma ‘ste fregnacce nun me le devi da raccontà. Capirei se fossimo usciti per meriti loro, ma così me fa rode e basta. Lo sai cos’è stato stasera? Un furto e stop», e con questa affermazione chiuse la conversazione.
Proprio non aveva voglia di discutere con Antonio. E poi di cosa avrebbe dovuto discutere? Di giustizia? Di corruzione? Di potenti impuniti? No, proprio non ne aveva voglia.
Guardò l’orologio e si disse che era ora di andare a dormire. Magari gli sarebbe passata prima l’arrabbiatura.
E poi d’improvviso si mise a ridere di sé e di quel matto di Antonio.
Liberati? Ma come gli era venuta in mente quell’idea? Loro, che liberi non lo erano per niente.
Si guardò intorno e misurò la stanza che condivideva forzatamente con Antonio e per il momento solo con lui, fortunatamente, ma ancora per poco: la loro cella nella Casa Circondariale di Salerno.
Li avevano presi quasi nello stesso periodo. Nando mentre «si faceva» una villa a Sorrento e Antonio mentre nella sua officina «aggiustava» un’auto di grossa cilindrata «amichevolmente sottratta» il giorno prima ad un riccone di Vico Equense. Quasi due anni dovevano ancora scontare.
Per la legge erano loro i ladri.
Roba da non crederci.
E, malgrado tutto, si addormentò con un sorriso sulle labbra.

Liberi ma completamente
Liberi finalmente
Liberi non è vero un accidente
Non siamo liberi per niente
Liberi c’è sempre uno che ci sente
Che ci compra che ci vende
Liberi sono i sogni nella notte
Liberi è questo specchio che si rompe
Liberi se si libera la mente
Siamo liberi e per sempre