lunedì, Aprile 29, 2024 Anno XXI


Nell’Italia che scopre il freddo e combatte contro le insidie della neve e del ghiaccio Roma è ancora capace di regalarsi e regalarci qualche raggio di sole. L’A.S. Roma, in perfetta simbiosi con la Città Eterna, d’improvviso si dimentica dell’inverno in cui sembrava anzitempo precipitata e ci avvolge di calore.
E quando meno te l’aspetti sboccia: nei risultati, finalmente degni delle nostre ambizioni, e nei suoi interpreti.
Rami secchi di cui liberarsi in fretta, “tronci” da cui ricavare solo “trucoli” come in un vecchio sketch di Tognazzi e Vianello, si scoprono finalmente utili alla causa.
E’ già successo a Baptista, poi a Ménez e ora sta per arrivare il momento del Normanno, di John Arne Riise.
Nel secondo tempo di quella partita a scacchi in cui si era trasformata la gara contro i girondini prima che Brighi e il Capitano archiviassero la pratica, mi sono concentrato sul Normanno del quale, lo confesso, sono un estimatore a prescindere.
In un calcio di svenevoli signorinelle lui è uno di quelli che vorrei sempre dalla mia parte e mai come avversario.
Duro, coraggioso, forse (senza forse) rozzo con i piedi, ma sempre a viso aperto. Uno al quale la fatica, la fisicità degli avversari, i calci dati e presi e il freddo fanno il solletico.
E se Ménez sembra uscito dal cinema francese degli anni ’30, lui potrebbe tranquillamente interpretare uno dei sei imbranati giovanotti di Sette spose per sette fratelli. Puro e solare come solo certi nordici sanno essere al cospetto di noi oscuri e contorti mediterranei.
A volte ci dimentichiamo che giocare al calcio in Italia non è facile come altrove. Che il nostro è un calcio bastardo, un po’ carogna, che non ti consente pause e incertezze e nel quale la figuraccia è assai più probabile della bella prestazione. Che da noi basta la giornata di vena di un giocatore di una provinciale per azzerare il palmarès di uno come il Normanno che comprende uno scudetto di Francia, varie coppe nazionali in Francia e in Inghilterra, una Coppa di Campioni e due Supercoppe europee. Robetta insomma.
L’impazienza è forse l’unico tratto del carattere di noi romanisti che vorrei azzerare. Perché è figlia di un certo “ora o mai più” che significa insicurezza nei propri mezzi e scarsa fiducia nel futuro. La nostra storia la conosciamo bene e sappiamo quanto è stato difficile uscire dai tempi cupi, che restano dietro l’angolo. Ma dobbiamo imparare a crescere.
Saper aspettare un giocatore, dargli fiducia anche quando sembra tentennare è segno di maturità. E’ quello che dovrebbe fare sempre un grande club.
L’esempio negativo del Real Madrid e della stessa Inter, che continuano a bruciare miliardi e giocatori nel fuoco fatuo della loro ambizione frustrata e che in questo rivelano, nonostante il blasone e pure i risultati, la loro decadenza, dovrebbe insegnarci qualcosa.
Un giorno il Normanno troverà una di quelle giocate da far cadere il Tempio.
Metterà da parte i propri eccessivi timori di dover sempre dimostrare qualcosa e scaglierà una bomba così potente e precisa da travolgere i difensori e il malcapitato portiere gonfiando finalmente la rete.
Quel giorno si sprecheranno le lodi dei “velavevodettisti” di professione. Gli stessi che ora ad ogni tocco di palla del Normanno storcono il naso.
Io non conosco una parola di norvegese e a stento mastico un po’ d’inglese.
Potessi parlargli ora a John Arne, al Normanno, gli direi solo di stare tranquillo.
Di fare quello che sa fare senza curarsi di chi ora lo critica.
Sei della Roma John. Sei nella Capitale del Mondo.
Quella che i tuoi avi sognavano solcando i mari e sfidando le tempeste.
Non devi dimostrarci niente.
Devi solo essere te stesso: Thunderbolt.