venerdì, Maggio 09, 2025 Anno XXI


I nostri padri latini dicevano: nomen omen. Nel nome, il destino, e forse non avevano tutti i torti.
Anche la Signora Ménez deve aver pensato qualcosa di simile quando, il 7 maggio del 1987 ha avuto tra le mani il suo frugoletto. O forse, chissà, quel nome Jérémy, Geremia come il Profeta, era stato scelto da tempo o magari era un retaggio di qualche avo. Non un nome comune, certo, neppure in Francia.
La caratteristica dei profeti, si sa, è di essere inascoltati. Altrimenti non sarebbero tali. Fedele al suo nome e al suo destino il nostro Geremia in patria è diventato il più classico dei “tutti lo vonno e nessuno lo pija”. Grandi lodi, ma nessun grande club transalpino a fargli la corte. E allora il trasferimento alla Roma, quasi in sordina.
E a Roma, come l’omonimo profeta, Geremia ha dovuto subire un certo scetticismo, complice l’avvio non certo esaltante di tutta la squadra. L’inesorabile “facce ride” che accompagna tutti gli esordi nella Città Eterna, non ha risparmiato neppure il Geremia venuto da Longjumeau, Île-de-France, una settantina di chilometri da Parigi.
Un paio di prestazioni opache, un gol mangiato nel derby di quelli che se lo metti dentro viene giù lo Stadio e se te lo parano vengono giù tutti i numi.
E anche gli arbitri con lui fanno i miscredenti.
Come entra una stecca, una botta, con l’arbitro che si volta dall’altra parte o gli dice “alzati, alzati”. E lui sempre con quell’aria imbronciata, a Roma se dice “scojonata”, ma è un francesismo, appunto.
L’espressione del volto di Jérémy è tutta un programma.
Uno con quei piedi fatati, con una facilità imbarazzante di volteggiare tra le gambe dei difensori, dovrebbe giocare col sole stampato in faccia.
Lui no. Lui s’aggira per il campo con le mani in tasca, come fosse lì per caso, e pure un po’ scocciato.
Potesse, giocherebbe con la baguette sotto braccio e il borsalino ben calcato in testa.
E da un momento all’altro t’aspetti che accanto a lui spunti Jean Gabin, come in uno di quei film francesi degli anni ’30.
Un francese in bianco e nero, tutto l’opposto di “Rugantino” Mexes che quando discute con l’arbitro comincia con ahò e gl’imbruttisce o fa le pernacchie ai tifosi del Lione perché sono “francesi”. O di Vincent Candela, il bon viveur.
Roma è una città capace di cambiare chiunque. Nessuna città al Mondo è come lei e nessuno che ci abbia vissuto può dire di essere rimasto se stesso. Di non esserne stato contagiato, travolto, trasfigurato.
Fra un po’ anche Jérémy comincerà a sorridere.
O forse no, continuerà ad attraversare il campo in lungo e in largo con quella sua faccia da Buster Keaton.
A noi poco importa con che faccia giochi, perchè, non solo da ieri, ha già cominciato a farci gioire.
E sono sicuro che, come si dice a Roma, è uno che ce farà ride tanto e spesso.
Bienvenu monsieur Ménez.
Bienvenu monsieur le prophète.