venerdì, Maggio 09, 2025 Anno XXI


Li ho visti arrivare ordinati e composti. Alcuni timorosi, altri più compassati. Ammirati, ma non spaventati dalla maestosità dell’Olimpico, il Tempio, la loro nuova casa.
Li ho visti controllare il loro abbigliamento un attimo prima di entrare, come quando si va ad un appuntamento importante. Le sciarpe indossate con fierezza, le bandierine, per chi le aveva, arrotolate o appena sventolate, gli zaini, le maglie, i giubbotti, tutti in ordine, senza trascuratezza.
Ho visto le scuole calcio marciare compatte, guidate solo con lo sguardo dai loro accompagnatori, e mostrare orgogliosamente le loro divise sociali, come un corpo scelto.
Li ho visti attraversare con attenzione, ma senza timore, i fastidiosi tornelli, biglietti alla mano come consumati frequentatori.
Li ho visti far crollare in un colpo solo i mille luoghi comuni, le mille dicerie, i mille idioti giudizi dei benpensanti che odiano il calcio, odiano i tifosi e quello che significano: “lo Stadio è frequentato solo dai teppisti”, “il pallone non è più un gioco”, “lo Stadio non è un posto in cui portare i ragazzi, figurarsi i bambini”, e via continuando con l’acredine di chi pontifica sempre e comunque.
Li ho ammirati, silenziosi ed attenti, rifiutare con eleganza quel vezzo televisivo, contagiato ai piccoli che nella televisione hanno il loro unico compagno di giochi, che vuole i bambini e i ragazzi eterni e isterici urlatori ad ogni occasione, fosse pure lo Zecchino d’Oro.
Mi sono riempito gli occhi del loro numero, della schiera dei piccoli romanisti, dei tifosi di un domani che è già oggi, dell’Ultima Legione che verrà.
Ho letto nei loro sguardi i miei stessi sentimenti di eterno bambino e quelli che ebbi un giorno, ormai perso nel tempo, al mio battesimo romanista.
Li ho sentiti cantare il nostro inno, il loro inno, senza stonature e senza esitazioni, come chi ha provato a lungo prima di esordire.
Li ho visti indicare i loro beniamini, quelli di cui hanno il nome stampato sulle maglie e magari un poster appeso in camera e una foto nel diario.
Mi sono immerso nella loro trepidazione fino a confonderla con la mia per un palo, una traversa, un passaggio sbagliato, una sbavatura difensiva, una ripartenza interrotta.
Li ho visti intrattenersi nell’intervallo con la stessa consumata abitudine di chi aspetta in un foyer di un famoso teatro che ricominci lo spettacolo.
E al minuto 14 del secondo tempo li ho visti alzarsi in piedi ed applaudire convinti.
Perché in quel preciso momento il bambino che era e che per me sarà per sempre, il giovane talento diventato adulto e ancora capace di comunicare con il segreto linguaggio dell’infanzia ai bambini dei cinque continenti, è salito in cattedra.
Ha sfoderato uno di quei colpi che ha solo Lui, che rendono apparentemente semplici le cose difficili, trovato chissà dove nel suo inimitabile coacervo di geni, nel Suo Genio.
Lui, il Capitano, Francesco Totti.
Il Maestro Unico.

P.S. Ho sentito minimizzare quella stessa magia da un signore assai autorevole, il Signor Mario Sconcerti. Mi spiace per lui, per la sua miopia che voglio credere sincera, anche se sono portato a dubitarne. Spero che un giorno comprenda. Come predicava il Maestro unico della mia infanzia, Alberto Manzi: non è mai troppo tardi…