sabato, Maggio 10, 2025 Anno XXI


Autore: er secco

Li ho sentiti pronunciare la parola “capolista”, come si fa nelle competizioni regionali.
Li ho sentiti contare i posti Champions’, come si fa quando l’Europa è un sogno estraneo e non una realtà settimanale.
Li ho sentiti paventare la Nostra discesa in “B”, come se 11 (undici) anni fossero così brevi da poterli dimenticare.
Li ho sentiti argomentare sul “4-3-3”, come chi crede che mettere quattro attaccanti voglia dire attaccare.
Li ho sentiti bisbigliare e confidarsi sogni, li ho visti illudersi e li ho visti gonfiarsi di aspettative.
Sembrava, dopo tanti anni, che fosse arrivato il giorno del riscatto.
Vincere qualche derby sottotono, senza nessuna valenza di classifica e primato cittadino (l’ASR negli ultimi tre anni ha fatto 86 – ottantasei – punti in più…) non era riuscito a cancellare l’onta dei 4 anni senza vincere, del 5-1 e di “Paoletto nostro”, di SuperMarco che stende sandrino e del Capitano in trionfo con tanto di stampelle. Finalmente, 14 punti davanti ed uno stato di forma invidiabile, credevano di riuscire a riapparare i conti con la storia. Invece è stata una Domenica BBBESTIALE; perché per quanto tenace tu possa essere, la Storia non la puoi cambiare.
Perché Remo è morto, quindi non esistono cugini, non esistono seconde squadre ed il nostro è un derby nella misura in cui lo è Siena vs. Fiorentina.
Però è stato bello vedervi fremere mentre i vostri tracagnotti correvano forte e passavano e scambiavano e tiravano e niente: non ce la facevano; un po’ come se un austero Dio del pallone non volesse nutrire oltre l’illusione cullata per mesi, forse anni. Ancor più bello è stato vedervi esausti a terra, vinti e sudati di una fatica inutile, mentre piano piano, a lenti soffi, vi sgonfiavate delle fandonie e delle aspirazioni indecenti di cui vi eravate ubriacati. E’ stato fantastico che per 45 minuti ci avete guardato e per altri 45 ci avete rincorso, è stato meraviglioso il “drop” (non eravate voi ad amare l’inglese?) della BBBESTIA che ha fatto da spartiacque invisibile a due tempi che sono stati due luoghi dell’anima: l’attesa e la rincorsa. Non si sa di cosa, ma probabilmente vi basta così: la LAZIE ha giocato bene (anche se gli unici tiri in porta li ha fatti negli ultimi 16 minuti), ha combattuto con rabbia ed orgoglio (anche se non ha un giocatore uno autoctono e tifoso), ha rischiato di pareggiare e, siamo sinceri, meritava di vincere (anche se non ha fatto neanche 1 – uno – gol).
Però voi siete signori, siete all’inglese e siete superiori, si sa – avete portato il cacio a Roma – quindi sarete comunque felici che la vostra squadretta da due soldi (tanto costa e, secondo il detto popolare, tanto vale) abbia onorato la vile maglia che avete scelto ben 108 – centootto – anni fa (quando il giallo ocra ed il rosso pompeiano erano già i colori della città da cui vi vantate di provenire…).
Noi, invece, veniali e popolari, eravamo interessati ad una sola cosa; questo dobbiamo ammetterlo. Non siamo stati per niente sportivi e per niente belli. Non abbiamo dato spettacolo e non abbiamo picchiato come fabbri l’avversario. Ci siamo limitati a prendere quello che secondo la Legge millenaria di Roma Aeterna ci spetta: LA VITTORIA. Una parola dolce ed affilata, rilassante come una Domenica ed ineluttabile come una Bestia.

Tu regere imperio populos, Romane, memento parcere subiectis et debellare superbos – Virgilio
[Ricordati, o Romano, che dovrai col tuo potere reggere le genti, perdonare i vinti e domare i superbi].