lunedì, Aprile 29, 2024 Anno XXI


Ho trascorso la mattina di ieri a convincere gente ad andare al Tempio ieri sera. E passando al mercato di Piazza Epiro sono stato oggetto di sfottò da parte dei laziali e di tutti i non-romanisti presenti e di compatimento da parte dei fratelli giallorossi che non se la sentivano di andare. “Ma chi te lo fa fare?” è stata la frase più gettonata, seguita, come direbbe il Poeta, da: “e chi se move, fori fa pure freddo e come piove”.
Ho trascorso il pomeriggio a scrutare le nubi per capire se ce l’avrebbero rinviata pure questa, dopo quella con la Sampdoria e mentre il nubifragio oscurava il cielo contavo le ore. Come sempre quando c’è da andare al Tempio.
Ho consumato i miei riti per prepararmi ad andare al Tempio con le solite due ore d’anticipo. La scusa è sempre quella del traffico, ieri peraltro giustificata, ma la verità è che per nulla al mondo mi priverei del gusto di arrivare presto all’Olimpico e di riempirmi gli occhi e i polmoni di quel posto che troppe volte mi ha fatto soffrire e raramente sognare.
Ho sfidato la pioggia e il traffico, mollando il lavoro e qualunque altro impegno con la solita trepidazione che precede ogni partita.
Ho fatto tutto questo come un atto d’amore, e come per tutti gli atti d’amore non ho fatto calcoli. Come ha scritto qualcuno, l’amore è paziente, non si vanta e non si gonfia.
Arrivando ho incontrato gli sguardi dei miei fratelli porpora e oro e ho visto nei loro volti gli stessi sentimenti. Ci siamo, siamo sempre arrabbiati, persino indignati, ma ci siamo e ci saremo. Perché per quanto ci possiamo sentire offesi e irrisi non possiamo fare altro che esserci. Non possiamo fare altro che crederci.
Come ha scritto Romatto ieri mattina sul Sacro Muro, siamo maestri nel farci prendere in giro per questa squadra e per questi colori.
E quando è entrato il Chelsea per il riscaldamento e sotto la balconata sono sfilati i loro campioni m’è venuto di dire a Chicco che era accanto a me: in fondo sono solo 11, come i nostri.
Non sto a raccontare le emozioni che ho provato durante la partita perché sono le stesse che ha provato qualunque romanista nel mondo.
Quando è finita, quando con un urlo liberatorio ci siamo abbracciati, e qualcuno accanto a me piangeva pure, ho avuto, netta, nitida, la certezza di avere avuto ragione.
Non nelle critiche alla squadra, al Mister, alla società per tutte le umiliazioni che ci hanno costretto ad ingoiare in questi mesi.
La ragione di esserci, senza attendersi nulla in cambio.
La ragione di chi ama e sa che lo farà sempre comunque.
Perché chi ama ha sempre ragione.