giovedì, Maggio 15, 2025 Anno XXI


Partiamo dalla fine. Cross dalla metà campo al 94esimo minuto di Bradley per

Marquinho che ostacolato da Osvaldo, manca il goal della vita, perché una rete

cosi nel finale non l’avrebbe saputa scrivere nemmeno Spielberg nella sua

prossima sceneggiatura di fantascienza. Con quel pallone si è spenta anche l’

ultima speranza del popolo giallorosso di pareggiare in maniera vittoriosa un

derby perso con un tempo di anticipo. Tutta la Curva Sud in quell’istante ha

soffiato  sul quel tiro, ma ieri il fiato per spirare era terminato visto che

era servito tutto nel secondo tempo per arrivare proprio a quel tiro

fantascientifico. Si perché tutti i tifosi della Roma ieri hanno dimostrato che

il derby da come la metti la metti, si gioca sempre in casa, perché si sono

sentiti solamente  loro incitare la propria squadra a squarciagola come se

fosse la Roma che stava vincendo per 3-1. Questo vuol dire essere romanisti,

nel bene e soprattutto nel male, perché sarebbe troppo semplice farlo solo

quando il mare  è calmo. Ecco ieri il mare romano e romanista di Ostia era

grosso, arrabbiato, nero e pieno di rabbia e ha finito per danneggiare la sua

spiaggia. Lo stesso mare di pioggia che ha rovinato la squadra di Zeman e che

ha fatto finire la magia di un’impresa soltanto sognata dopo appena venti

minuti, giusto la durata di vedere l’ottava rete di un ragazzino venuto dall’

altra parte del  mare dell’Oceano Atlantico. Sembrava tutto bello, la rete in

contemporanea a San Siro di Aquilani, quella di Bertolacci a Genova, non due a

caso ma due romani romanisti che a loro modo stavano giocando il loro derby,

mentre invece nella vera stracittadina giallorossa hanno vinto la paura, la

follia e appunto la rabbia. Come quella di Miralem Pjanic che entra, segna e

manda messaggi d’amore alla sua Curva e di odio alla sua panchina. E’ la Roma

che ha perso e non la Lazio che ha vinto. Ma il pallone funziona cosi, bello e

maledetto. Adesso bisogna ripartire tutti quanti dalla fine, da una Curva

intera che ha urlato il suo amore per novanta minuti, perché da ieri in tutti

quanti l’essere romanisti è salito di una piccola percentuale, perché essere

della Roma significa decidere di stare su una nave, sempre al centro di una

tempesta per una vita intera e riuscire come per incantesimo a cavalcare

qualsiasi onda, altro che fantascienza.

Filiberto Marino