domenica, Luglio 13, 2025 Anno XXI


La decisione di Rosella Sensi di mandare la squadra in ritiro dopo la sconfitta di Udine, annunciata “per onorare la maglia”, è apparsa ai più come una scelta scontata, peraltro quasi obbligata, visto che domani la squadra sarà già in campo per un imprevedibile spareggio/salvezza contro la Sampdoria. Puntuali come il ritorno all’ora solare, sono poi apparsi davanti ai cancelli di Trigoria le solite scritte e i soliti contestatori che si sono cimentati in qualche timido “andate a lavorare” e con quel “Rosella vattene” che fa capolino di tanto in tanto quando le cose non vanno bene. Chiusa nel suo confortevole fortino, la squadra è “andata a rapporto dal Mister”, “ha riflettuto sugli errori commessi”, “si è dichiarata unita”. Ha consumato, insomma, i soliti rituali della “crisi di gioco e di risultati” che si celebrano in tutta l’Italia calcistica dai tre quarti di classifica in giù e da un cinquantennio a questa parte. Ieri Costantino Rozzi e Angelo Massimino, oggi Rosella Sensi.
Oltre che antiquata, la scelta del ritiro mi appare profondamente sbagliata.
Core e simbolo della Città Eterna, l’AS Roma non è una qualunque azienda di servizi del terziario che possa rinchiudersi nei propri uffici alla ricerca di un nuovo prodotto, visto che quelli che fornisce non sono attualmente graditi al mercato.
E’ una parte dell’anima di questa meravigliosa città, il riferimento costante di migliaia e migliaia di “romapatici” che in periodi bui come questi soffrono come nessuno al Mondo sa soffrire per una squadra di calcio.
Non sto qui ad elencare l’insieme dei motivi che hanno precipitato la Roma dal vertice ad un passo dalla zona retrocessione.
A differenza di tanti analisti prezzolati non conosco né i mali, né i rimedi.
Di una cosa sono certo: che questa squadra è attanagliata da una di quelle paure antiche che impediscono alla maggioranza dei suoi di fare in campo anche le cose più semplici.
So pure che normalmente il silenzio e l’isolamento ingigantiscono le paure.
Cosa possono essersi detti i giocatori tra loro e con il Mister di diverso da quello che si sono detti in questi mesi?
Come avranno passato il tempo separati da quello che li circonda?
E che senso ha trasformare noi tifosi nei cattivi da tenere fuori dai cancelli?
Sono sicuri che siamo noi i veri nemici della Roma?
Io credo che la Roma, squadra, società e tecnico, non possa aver paura di confrontarsi con i propri tifosi, anche se il confronto può essere duro.
Perché noi siamo quelli che non mollano e non molleranno mai.
Noi siamo quelli che non si ritirano.
Noi semo romani, ma romanisti deppiù.
Portatori sani di romanismo che non aspettano altro che di stringersi attorno ai propri colori, alla propria maglia, che hanno cucita sulla pelle e tatuata sul cuore.
Dice Spalletti che alla Roma è ora di cambiare e certo non posso dargli torto, a patto che sia lui il primo a farlo. Sono stanco di discorsi-fotocopia che somigliano alle veline dell’Agenzia Stefani. Di “’omportamenti giusti” e di “situazioni”. Di musi lunghi e sguardi persi a guardare in terra. Perché con questo atteggiamento ci aspettano solo altre pizze in faccia.
Aprisse i cancelli di Trigoria, si esponesse al nostro sostegno e pure alla nostra contestazione se mai ci dovesse essere. Facesse entrare a Trigoria un po’ di sano ponentino, invece di ammuffire e rintanarsi come un sorcio.
E si lasciasse contagiare dalla tigna e della passione dell’immenso e meraviglioso popolo giallorosso.
Quello che è sempre pronto a dar battaglia. Sempre pronto a ricominciare.
Perché ha un cuore grosso, mezzo giallo e mezzo rosso.
Proprio quello che manca ora alla Roma.
Un cuore.