lunedì, Dicembre 02, 2024 Anno XXI


“Ogni buon romano, o naturalizzato romano, o esperto di Roma
e di certa sua vita […] sa di chi parlo, e sa chi sia questo menestrello dalla pancetta abbondante e dagli occhiali notturni. […] Chi non conosce, a Roma,
il Sor Capanna? Egli è, ormai, un istituto fondamentale, una figura rappresentativa”
(Giuseppe Zecca – “Rassegna Contemporanea” – 1914).

Pietro Capanna, figlio di Luigi, “pastarellaro” (ovvero pasticcere) e di Maria Rezzonico, sigaraia, nasce il 9 Aprile del 1865 nel noto Rione Romano di Trastevere. Come molti in quell’epoca, comincia a lavorare fin da giovanissimo, prima come garzone di macellaio, poi come ceraiolo nella fabbrica di candele alla Lungara. Ma in pochi anni i fumi e il calore della caldaia gli procurano una forte congiuntivite che lo rende quasi cieco e lo obbliga ad abbandonare il lavoro. Con i suoi enormi occhiali neri, che diventano presto il suo “segno particolare”, e accompagnandosi con la chitarra, inizia allora a fare il cantastorie nelle osterie e lo stornellatore per le strade di Roma, riprendendo una tradizione nata anni prima dal guitto di strada Ghetanaccio.

Gli stornelli sono strofe improvvisate sempre sulla stessa melodia e con rime per metà alternate e per metà baciate, per lo più usati per commentare avvenimenti o persone colte al momento dallo stornellatore.

Pietro Capanna si fa ben presto conoscere a Trastevere e in tutta Roma come Er Sor Capanna, grazie ai suoi stornelli sagaci, immediati e di forte impatto umoristico. Comincia a esibirsi in piccoli teatri, come l’Alcazar di Via dei Coronari, finché decide di formare una sua compagnia itinerante: fedele alla tradizione del cantastorie, si muove per Roma a piedi, vestito con giacca, cravatta e bombetta, e si esibisce per le strade toccando argomenti sociali e del quotidiano (la condizione della donna, il costo della vita, la guerra, la disoccupazione, la politica). Ma nel periodo del Carnevale, festa all’epoca molto importante e profondamente radicata a Roma, gira per la città vestito da Rugantino, su un carro che funge da palcoscenico, accompagnato dai suoi musicisti e dalla moglie Augusta Sabbadini, nel ruolo di Nina, greve e corpulenta, con cui scambia battute e stornelli a dispetto.

Vive così tutta la sua vita di “artista di strada”, come sarebbe definito oggi. Muore a Roma, in una corsia del Policlinico Umberto I, il 22 Ottobre del 1921, a soli cinquantasei anni, e solo recentemente il Comune gli ha dedicato una piazza (Piazza Sor Capanna, appunto) nei pressi di Via Casilina, nel quartiere di Torre Spaccata.

Il suo personaggio ha però ispirato numerosi artisti romani, tanto che anche il grande e internazionale Ettore Petrolini, che definiva Er Sor Capanna il suo maestro, realizzò una fortunata macchietta a lui ispirata, grazie alla quale la fama dei suoi stornelli ha varcato i confini di Roma e dell’Italia.

I suoi stornelli sono e restano immortali pezzi di vita quotidiana, e hanno goduto nel tempo dell’interpretazione delle più grandi voci romane, come Romolo Balzani, Claudio Villa, Alvaro Amici e Gabriella Ferri (solo per citarne alcuni).