venerdì, Maggio 03, 2024 Anno XXI


Ho iniziato questo campionato come avevo finito quello scorso: raccontando favole. Mi è sembrato simpatico e un pizzico scaramantico riprendere da dove avevo lasciato e poi la storia di Laura era troppo bella per non essere raccontata. Non sono uno di quelli che si sono fatti prendere dal panico per la stecca della prima di campionato. Troppe erano le attenuanti, per me. La scomparsa del Presidente Sensi, alcune vicende personali dei nostri, la precaria condizione del Capitano, la scarsa forma atletica dei più dovuta alla posticipazione del ritiro, l’arrivo repentino di tre giocatori in ruoli chiave con i precedenti titolari partiti o infortunati, il clima di tensione della trasferta dei napoletani. Insomma la lista era lunga e, a suo modo, rassicurante. Non ho dato credito ai preoccupati, agli allarmati, a quelli che già mettevano sul banco degli imputati Spalletti e la campagna acquisti. Con lo stesso atteggiamento fiducioso ho scorso la formazione pronta a scendere in campo a Palermo, in piena emergenza, ma comunque, sulla carta, ampiamente superiore ad una squadra che alla prima di campionato era parsa assolutamente inconsistente, in ogni caso alla portata dei nostri. Poi, nei novanta minuti più recupero della Favorita le mie certezze si sono sgretolate, sfaldate. Esattamente come la Roma che vedevo sotto i miei occhi. Non ci sta che la Roma, qualunque Roma, stia per 80 minuti a farsi prendere a pallate da un modesto Palermo di un allenatore pur bravo, ma appena arrivato. Non ci sta che basti un Simplicio qualunque per mettere in crisi centrocampo e difesa. Non ci sta che la Roma non abbia la minima reazione caratteriale. Che non morda, non raspi, non rovesci sul campo la nostra rabbia e la nostra fame. Noi, lo sappiamo bene (e una mostra che mi dicono bellissima in questi giorni sta a testimoniarlo), non abbiamo vinto quasi nulla. Non abbiamo tutti questi trofei e queste coppe di cui vantarci. Solo la nostra passione e il nostro orgoglio. Il nostro amore infinito e il crederci sempre e comunque. Perché noi siamo la Roma. Dicono i soliti beneinformati che durante l’intervallo o forse dopo la partita siano volate parole grosse nello spogliatoio. Che Spalletti sia stato duramente contestato da una parte dei giocatori. Non lo so e neppure mi interessa più di tanto.
Quello che posso dire io è che quella scesa a Palermo non era una squadra e che la Roma, specie quando manca un certo Francesco Totti, quello che “non è mai decisivo”, non ha il giocatore capace da solo di risolvere una partita con una giocata.
Quello che posso dire io è che basta una settimana per mandare in soffitta anni di lavoro, mesi di applicazione e tutte le certezze costruite in un’intera gestione.
Quello che posso dire io è che il gioco del calcio è a modo suo semplice, che si può giocare con tanti moduli, che lo stesso modulo non va bene per tutti gli interpreti e che è assai più intelligente ed efficace cambiare il modulo in funzione dei giocatori e non adattare i giocatori al modulo.
L’AS Roma ha dato prova anche nel recente passato di saper intervenire quando serviva. La dottoressa Rosella Sensi ha, ormai, l’onere, l’onore e tutte le prerogative presidenziali. Bruno Conti ha un ruolo definito e decisivo. Che intervengano loro o i loro sforzi di questi anni saranno stati vani.
Lo staff tecnico ha dimostrato in passato di sapersi trarre fuori da situazioni difficili. Trovi in fretta il bandolo della matassa, ma se non ha più nulla da dare e da dire, se non ha risposte, si faccia da parte ora, senza trascinare fino alla fine della stagione una squadra allo sbando.
I giocatori sono dei professionisti lautamente pagati per impegnarsi allo spasimo e seguire i dettami dell’allenatore, se ne ha. Se hanno critiche da fare lo dicano a chi di dovere, senza nascondersi o infilarsi in fronde e complotti.
Che ognuna di queste componenti si assuma le proprie responsabilità, prenda le contromisure e corregga il tiro. Perché oggi non ci siamo: oggi siamo al fallimento e all’epilogo.
Che lo facciano tutti con il coraggio e la determinazione che servono.
Perché noi siamo la Roma. Perché la nostra Storia lo impone.
Perché non è più tempo di raccontarsi favole.