venerdì, Luglio 04, 2025 Anno XXI


Quando vedo la data sul sito internet non ci posso credere: 18 giugno. È il 2001, è marzo e a Catania comincia a fare caldo. È lunedì mattina, la Roma ha appena battuto l’inter, io devo inventarmi qualcosa per il regalo di laurea di Sergio, e vorrei tanto essere a Roma il 17 giugno. Comincio a raggranellare qualcosa, faticosamente arrivo a mettere insieme i biglietti del concerto e il viaggio d’andata in treno, e a maggio gli do l’annuncio: il 16 giugno si parte, il 18 andiamo a vedere i sonic youth al teatro di Ostia antica, ma il 17, se succede, dobbiamo essere lì. Sergio non è esattamente romanista, ha avuto un’educazione juventina ma non gliene frega granchè, il lunedì mattina magari non sa dirti che ha fatto la giuve, ma sa tutti i risultati delle squadre siciliane fino alla serie D. E’ un fiero tifoso della sua terra Sergio, ma è un po’ romanista per proprietà transitiva, per quanto m’ha visto soffrire negli ultimi anni, e il nostro gruppo preferito sono i sonic youth. Niente di meglio, il suo regalo per la sua laurea, il mio regalo per la mia vita. Lui addirittura frena i miei sforzi e mi offre i biglietti aerei per il ritorno il martedì mattina, meglio che altre dodici ore di treno.
Il 17 mattina, dopo le nostre dodici ore di treno sbarchiamo a Roma Termini. Il tempo di una rapida colazione e ci infiliamo in metropolitana. Non avevamo avuto la possibità di procurare i biglietti per il Tempio, così la metropolitana corre veloce verso la periferia: giuro, non ricordo dove, ho dovuto rimuovere i piccoli particolari per lasciare spazio al resto, so solo che alla stazione ci aspetta Andrea in arte Dadà.
Studiavamo insieme a Viterbo, ma la nostra era un’amicizia che con lo studio non aveva niente a che fare. Erano lunghissimi pomeriggi e nottate di discussioni amare, accompagnati quasi sempre dai pink floyd e qualcosa da fumare: gli amori, i rapporti difficili, l’impossibilità di essere normali in un mondo di folli, e la Roma. Le discussioni spesso finivano col pianto di uno dei due, allora s’alzava il volume dei pink floyd, si restava anche un’ora in silenzio, e si cercavano soluzioni per ripartire in qualche modo. Poi le sventure ci hanno riportato nelle rispettive città d’origine. Continuiamo a sentirci per telefono di tanto in tanto; passano tre anni.
Dadà arriva in ritardo come sempre e ci carica sulla sua macchina; guida forte Dadà, ma in quel momento è come se vada pianissimo. Alla stazione, sottoterra, forse anche per la stanchezza del viaggio e lo stress degli orari quasi dimentico i motivi per cui sono lì; poi incrociamo le macchine che scendono verso il centro, verso il Tempio, e scopro che Roma è un turbinio, è un cuore che batte impazzito. Guida forte Dadà, ma se guardi fuori dal finestrino sembra che vada a 30 all’ora.
Andiamo a casa sua per un pranzo veloce e il gran premio delle moto gp o 500, come si chiamavano ancora. Poi schizziamo sull’ostiense verso casa di altri amici suoi: non li conosco, ma mi accolgono come se li conoscessi da vent’anni perché sanno quello che ho fatto per essere lì con loro, e io so di averlo fatto per essere lì con loro. Sergio è maledettamente a suo agio. Va tutto bene.
La partita la conosciamo tutti ormai: è fatta di urla, di silenzi impauriti, di liberazioni. Abbiamo vinto lo scudetto: io piango, Sergio mi abraccia, Dadà impietrito accanto a me, gli passa tutta una vita davanti e si vede, gli altri urlano cori da stadio.
Usciamo, Circo Massimo, chi c’era può già capire quel che è inutile scrivere qui. Uno degli amici verso le 19 non regge più, l’emozione lo vince su tutto; lo accompagnamo all’ospedale più vicino, nulla di grave. Sono le 20, abbiamo appuntamento con la ragazza di Sergio che è lì per lavoro e ci ospita per la notte nella sua casa vicino San Giovanni. Ci abbracciamo tutti. Ci allontaniamo, poi d’istinto mi giro e vedo Dadà venirmi incontro: scioglie dal suo braccio la sua sciarpa e me la porge, io la lego al mio braccio e ci abbracciamo. Uno dei nostri sogni di quei pomeriggi si è realizzato, ora le lacrime sono di gioia.
Lunedì pomeriggio andiamo a Ostia a rendere omaggio a Pasolini, poi la sera entriamo nello splendido teatro antico e sembra un qualunque concerto, con la gente che sembra gente da concerto. Poi le luci si spengono e accade: fuori la prima sciarpa, poi la seconda, la terza, centinaia: poi i sonic youth salgono sul palco e sembra di stare al Tempio. Io tremo, e continuo a tremare per buona parte del concerto.
Finito il concerto andiamo in autostop alla tiburtina e aspettiamo che si faccia l’ora del bus per Fiumicino. Ma è ancora presto, così facciamo ancora un giro a piedi. Sembra ancora domenica pomeriggio. È bellissimo, di più, sono tutti i miei sogni realizzati.
Svegliamo l’autista, sfinito anche lui, e ci facciamo portare a Fiumicino. Decolliamo alle 7,30 e io non sento la paura fottuta che ho dell’aereo. Ho troppa voglia di raccontare, di fare l’amore con quella gioia e quel fremito ancora nel cuore, e di addormentarmi allo sfinimento dopo due giorni che quasi non chiudo occhio.

Due anni dopo Dadà corre forte come sempre, sulla ostiense: sbanda; si scontra con un’altra macchina.
Dormi in pace Dadà. Vorrei ci godessimo questo momento del 2008 insieme.

er siculo