lunedì, Maggio 06, 2024 Anno XXI


Matteo era molto arrabbiato, ma non aveva il coraggio di dirlo alla mamma. In quel momento non voleva essere lì. Voleva stare ancora al mare, a giocare sulla spiaggia, o all’acquario, dove l’avevano portato la mattina strappandolo poi quasi con la forza dalla vasca con le razze che si potevano toccare. E invece era costretto a stare seduto accanto alla mamma e al papà in quel posto strano. Si chiamava lo Stadio di Marassi, così gli avevano detto i suoi. Così diverso dall’Olimpico in cui andava con il papà quando giocava la Roma. Le torri altissime con le scale buie e loro su in alto, quasi sotto il tetto con davanti una rete, come se fossero prigionieri, come se loro fossero i cattivi. Non aveva neppure potuto portare la sua bandiera, la mamma gli aveva detto che era troppo pericoloso, e all’ingresso lo avevano perquisito e gli stavano pure portando via il transformer perché, dicevano i poliziotti, era di metallo ed era pericoloso pure quello. Il bar era chiuso e non aveva potuto prendere la coca cola e neppure i pop-corn. Insomma, un inferno. Se ne stava così Matteo, tra mamma e papà. Il viso appoggiato sui gomiti, senza parlare. La mamma, accanto a lui, era molto eccitata. Non faceva che fare fotografie. Il papà, invece, era perso nei suoi pensieri. Non era più stato a Marassi da quando lo avevano rinnovato e cercava di ricordare come fosse l’ultima volta che c’era stato, più o meno all’età di 9 anni, quelli che aveva ora Matteo. Quando le squadre entrarono in campo per il riscaldamento Matteo si riprese dal suo torpore. Daniele De Rossi era venuto a salutare sotto il settore accolto da un tripudio di cori  e lui l’aveva visto così da vicino da poterlo toccare. All’ingresso delle squadre in campo non avevano messo “Roma, Roma, Roma” e a Matteo era sembrato strano. Per lui era la canzone più bella del mondo e credeva che quando giocava la Roma la facessero sentire sempre. Il papà l’aveva sollevato e gli aveva indicato il settore dei tifosi Sampdoriani applaudendo alla loro coreografia. Una enorme bandiera blucerchiata e tanti cartoncini celesti, bianchi, rossi e neri a coprire il loro settore. Loro avevano risposto con i loro cori. Uno dietro l’altro, da perderci la voce. Matteo li sentiva bene per la prima volta, perché quando li ascoltava all’Olimpico dal suo settore era troppo distante per capire le parole. E invece ora era in mezzo al coro, anzi era “il coro”. E la mamma, di solito così tranquilla, era in piedi e cantava anche lei a squarciagola. Lui allora si era messo a ballare al ritmo dei cori e cominciava a divertirsi un mondo. La Roma, però, non giocava bene. Proprio sotto il loro settore Doni aveva dovuto fare alcune parate difficilissime e gli avversari avevano preso anche due traverse. Alla fine del primo tempo Matteo era dovuto rimanere seduto, invece di alzarsi e andare in giro come faceva di solito. Però il cattivo umore gli era passato. Non vedeva l’ora che riprendesse la partita e che riprendessero i cori. Nel secondo tempo la Roma attaccava sotto il loro settore, ma dalle imprecazioni di papà Matteo percepì che le cose non erano migliorate di molto. Poi ad un certo punto la palla finì sul fondo consentendo alla Roma di battere uno dei rarissimi calci d’angolo della partita e dal suo posto Matteo non vedeva bene, così chiese al padre di sollevarlo dicendogli: “ecco, ora facciamo gol e io non lo vedo!”. Matteo doveva avere un Angelo Custode molto sensibile perché con quel corner la Roma andò in vantaggio su inzuccata di Panucci. Il boato che sentì Matteo intorno a sé non se lo sarebbe scordato facilmente. Come non si sarebbe dimenticato gli abbracci e tutti quelli attorno a lui che volevano dargli il cinque. Non era il primo gol della Roma che Matteo vedeva. Ma questo era diverso, aveva un gusto particolare. Matteo, infatti, si rese conto che mentre loro festeggiavano tutto il resto dello Stadio era ammutolito. E loro erano pochissimi, mentre gli altri, quelli della Sampdoria, tutti con le loro maglie, erano tantissimi. Neanche quattro minuti e la Roma raddoppiò con Pizarro per poi addirittura triplicare con Cicinho. In dieci minuti era cambiato tutto. Intorno a lui la gente ballava, cantava ed erano iniziati gli sfottò contro i Sampdoriani. La mamma era un po’ preoccupata, perché non voleva che Matteo imparasse le parolacce, ma quando era iniziato il coro “tutti a casa, alè, alè” si era unita anche lei e l’avevano cantato insieme. Ora Matteo non sentiva né il caldo, né la sete. Un vero gladiatore non pensa a queste piccolezze. Lui si sentiva un vero tifoso della Roma. Lui “era” un vero tifoso della Roma. Così quando l’arbitro fischiò la fine e i giocatori vennero sotto il settore a festeggiare ed applaudire il pubblico Matteo si arrampicò fin dove poteva per prendersi anche lui la sua parte. Il tabellone passò dalla bellissima immagine con lo 0-3 a quella con i risultati degli altri campi. L’Inter e la Juventus avevano perso. La Roma era sicuramente seconda a solo tre punti dalla prima con due partite ancora da giocare. Attesero e lungo prima di poter uscire e mentre Matteo si godeva la vittoria si sorprese nel vedere che mamma e papà sembravano quasi contrariati. Il papà, infatti, stava dicendo alla mamma che forse era troppo tardi per riprendere l’Inter e stava elencando le partite che, secondo lui, la Roma aveva buttato al vento. Dopo alcuni minuti i due genitori si resero conto di aver trascurato Matteo e cominciarono a chiedergli se era stanco, se aveva sete e a rassicurarlo che presto sarebbero andati via. Matteo però non si lamentò. Era troppo felice. Il papà allora gli si avvicinò e gli disse serio a bassa voce: “promettimi che domani a scuola non litigherai con Giorgio”, riferendosi al compagno di classe interista col quale spesso Matteo si accapigliava, “e che non reagirai quando lui ti ricorderà che sono sempre primi in classifica”. Matteo si fece serissimo in volto e rispose al padre: “sai cosa gli dirò a Giorgio? che loro saranno pure primi in classifica, ma io sono un tifoso della Roma e che se lui la partita se l’è vista in televisione io oggi ero a Genova. Che vuoi che ne sappia Giorgio di trasferte, lui che al massimo va in trasferta alle giostre?”. Il papà lo guardò con uno sguardo carico di affetto. In quel momento non solo vedeva se stesso bambino. Vedeva un’altra Roma. Una Roma fiera e orgogliosa. La Roma con gli occhi di un bambino. Quelli di Matteo, suo figlio.

Passa il tempo cambia la gente
di battaglie ne ho fatte tante,
a noi tutti ci hanno invidiato
a noi tutti ci hanno applaudito,
dai ragazzi diam la scossa,
facciam vedere la nostra pasta,
siamo pronti a ricominciare,
tutto il mondo dovrà tremare.

(*) Dedicato a Miss Roma e a tutti quelli come lei che riescono ancora a tifare la Roma con gli occhi di un bambino.