martedì, Giugno 03, 2025 Anno XXI


L’uomo si mise alla tastiera del computer e i tasti iniziarono a picchiettare. Voleva raccontare tutte le storie di tutti i romanisti del mondo, ma si accorse che non gli sarebbe bastata una vita. E poi che ne sapeva lui di quelle storie? Lui poteva solo immaginare. Poteva solo catturare un’emozione, come si cattura un odore da una bava di vento. E da quell’emozione risalire al cuore. Che non conoscesse i volti, poco importa. “Gli eroi son tutti giovani e belli” dice il Poeta.
E allora iniziò a raccontare. A scrivere di una domenica normale.
Fabrizio a quest’ora è già sul treno. Con una stretta al cuore ha salutato con un bacio silenzioso, nel buio delle quatto del mattino, la sua sposa che presto lo renderà di nuovo padre e il suo piccolo lupacchiotto. Poi si è messo in macchina per raggiungere la stazione. Avvolto nella bruma delle prime ore dell’alba, incerto se rimettersi a dormire o leggere un giornale, ripensa alla faccia stupita del bigliettaio quando ha chiesto un biglietto per Roma. Andata e ritorno da Chivasso nella stessa giornata. Chissà magari quello avrà pensato ad una scappatella extraconiugale. E invece lui sta solo facendo il suo dovere. Il dovere di un romanista che non si sente la coscienza a posto se almeno una volta l’anno non va al Tempio.
Antonio, invece, è nel box sotto casa. Nello spostare la macchina del padre per farsi spazio ha dato una bella grattata al cambio. Cose normali per chi ha da poco la patente. Deve finire di dipingere il suo stendardo e ha paura che non farà in tempo ad asciugarsi. E poi chissà se gli faranno storie e lo faranno entrare. Si mette ad una certa distanza per vedere l’effetto, dà ancora qualche ritocco di colore e poi si accoccola sulle ginocchia rimirandolo orgoglioso. Peccato che manchi ancora tanto tempo alla partita.
Carla ha appena sfornato la crostata, anzi “le crostate”. Perché per una che ne porta al Tempio due ne deve lasciare a casa ai suoi lupi affamati. E’ un tacito patto, e a lei sta bene così. Anche oggi la balconata avrà di che sfamarsi. E mentre il profumo del dolce le riempie la casa ricontrolla l’abbonamento e i documenti. Meglio stare tranquilli. Poi scruta il cielo e il sole già alto che preannunciano una calda giornata di primavera e si domanda come farà senza il suo giaccone dalle mille tasche.
Lorenzo è già in viaggio anche lui. La partita degli allievi di cui lui, modestamente, è il Mister, è alle dieci. Poi, finita la partita, un saluto ai ragazzi, le ultime raccomandazioni e via allo Stadio. Perché è domenica. E la domenica ha i suoi riti e i suoi doveri.
Anna è al telefono con la madre. La sta rassicurando. Accade così ogni volta che va allo Stadio. Alle sette del mattino squilla il telefono. E’ mamma. “Certo che vado allo Stadio Ma’ sono abbonata! No che non c’è pericolo, tranquilla… si che ti chiamo quando arrivo, ma lo sai che allo Stadio il telefonino non prende mai”. Mentre parla apre l’armadio e i cassetti del comò. I suoi occhi frugano alla ricerca del foulard del terzo scudetto. Si sente in colpa. L’ultima volta non lo ha messo e si è infortunato il Capitano.
Antonio è in giardino, non credeva facesse così caldo ed è già madido di sudore. Sua moglie gli ha fatto promettere che avrebbe potato l’edera e dato una sistemata alle aiuole. E lui ha accettato, convinto che la partita fosse di sabato. Ben gli sta. Così impara a guardare meglio il calendario. Consulta l’orologio. In un paio d’ore, massimo tre, avrà finito e poi via di corsa, senza neppure pranzare. Al Tempio c’è da sbrigare una pratica col Torino e lui è uno puntuale.
Per Francesco è ancora notte fonda. Ora di New York. Ha appena aggiornato il suo blog e non ha sonno. Ne approfitta per cercare un sito internet che trasmetta la partita della Roma. E’ ovvio che lui preferisca le partite in notturna perché gli evitano la levataccia. Almeno la domenica mattina vorrebbe dormire. Eccolo, l’ha trovato. In pochi minuti sistema tutto e si butta sul letto sapendo che dormirà solo per qualche ora. Non mette la sveglia, non ne ha bisogno. Il richiamo della partita ha l’effetto di svegliarlo meglio di una campana. Pensa a quelli che lo Stadio ce l’hanno a due passi e non ci vanno. Se potesse li prenderebbe uno per uno a casa loro.
Giovanni ha appena iniziato il suo turno sull’autobus. La bella giornata e lo scarso traffico domenicale l’hanno messo di buon umore e fischietta, rinunciando alla sua dose quotidiana di insulti per il solito automobilista indisciplinato che gli taglia la strada o che lascia l’auto in doppia fila. Il suo turno finirà appena in tempo per consentirgli di andare allo Stadio e già si vede trafelato inforcare il tornello all’ultimo minuto. E’ sempre così per lui che lavora anche la domenica.
Monica è rabbuiata in volto. Ci mancava solo il ballottaggio. E lei è al seggio e dovrà affidarsi agli sms di suo marito per sapere il risultato della partita. In preda ad una sorta di tic nervoso controlla e ricontrolla i verbali rendendosi conto che senza la Roma la domenica è una giornata che non finisce mai.
Giorgio è al lavoro alla reception di un albergo del centro. Ancora non gli hanno dato le divise estive e il colletto inamidato lo sta facendo impazzire. Nella hall un gruppo di tedeschi aspetta il pullman che li porterà in giro per la città, mentre una coppia di turisti giapponesi si fotografa a vicenda mille volte. In mezzo al gruppo scorge un paio di ragazze con la maglia di Totti e vorrebbe dirgli che lui il Capitano lo conosce di persona. Ha anche una foto con l’autografo originale. La partita lui se la sentirà alla radiolina, come quando era ragazzo, attento a non farsi beccare con gli auricolari.
Luciano sta cambiando il pannolino di Marco, sei mesi. Lo coccola e lo vezzeggia felice del suo ruolo di padre. Lo soppesa e lo misura domandandosi a quale età si possa portare un bambino allo Stadio. Non vede l’ora in cui farà il suo ingresso trionfale al Tempio con il suo lupacchiotto. Non è da tutti arrivare alla quarta generazione di romanisti.
L’uomo si interruppe e rilesse a lungo il suo scritto. Si rese conto che quello che aveva buttato giù erano solo piccoli abbozzi, segni di carboncino su di una tela vergine, ma per oggi poteva bastare. Si domandò se non valesse la pena anche di raccontare anche di quelli che invece di andare al Tempio si erano dati appuntamento al Circo Massimo per chiedere la vendita della società al magnate americano del momento. Scuotendo il capo si disse che non ne sarebbe comunque stato capace. Lui poteva solo catturare un’emozione, come si cattura un odore da una bava di vento. Lui era solo un cantastorie, ma le sue storie erano vere. Non create ad arte per vendere una copia in più di un giornale del mattino.

Questa è l’ora in cui treni fantasma
corrono al mare
e i cani nella notte li stanno ad aspettare
seduti nel buio per sentirli passare
la mia gente ha tanto a cui pensare
certo più di me
e non vede la festa che vola al di sopra di noi
insospettato mondo
le magie, le canzoni, le maledizioni
eterne fortune per mille stagioni o mai.