Categorie Articoli by Gens Romana Virgolettato Scritto da r. cdr martedì, 11 Maggio alle ore 10:27
Riportiamo questa lettera al nostro capitano pubblicata su “Asromalive.com”. Dire che è bella e commovente è poco. Va solo letta, e custodita dentro di noi. A chiunque sia l’autore va la nostra stima e il nostro ringraziamento (r. cdr.) Ciao Francè, Fra vent’anni, quando smetterai. Ovvio. Scarabocchi ed espressioni montate su da una passione figlia di istinto e ragione. Perché sei riuscito a farmi dono anche di questo miscuglio specialissimo che ho vissuto poche altre volte, Francè: farti amare di sensazioni venute fuori all’improvviso – come i grandi amori nati col colpo di fulmine; e lasciarti bere tutto d’un fiato anche attraverso un affetto che si è alimentato giorno dopo giorno. Ora dopo ora. Avvenimento su avvenimento. Facile innamorarsi, Francè. Sono un tifoso a distanza. Nel senso che sulla carta di identità c’è scritto che sono nato a Roma ma manca l’altro dato. Che sono figlio di emigranti. E il Cupolone, San Pietro, Cinecittà, i vicoli, Piazza di Spagna, il raccordo. Li ho visti, sì. Ma dopo parecchi anni. Da turista. Papà, dentro, era un fiume che prorompeva ma de fori, er maschio, s’è sforzato a rimanere integerrimo. Se so’ portati tutto: i panni, er conto, gli spicci, i mobili, i quadri, le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire. Abbiamo fatto, di ogni angolo di mondo in cui siamo stati, una Roma in miniatura. A scuola ero l’unico a fare il tifo per la Magica. Non poi capì. O erano prese in giro – che la Roma, per lo scudetto, non ci lottava quasi mai – o solo indifferenza – quella che, l’ho capito crescendo, si manifesta verso i poracci, i perdenti. Non me n’è mai fregato niente. Perché il senso di appartenenza maturava pian piano. Ma maturava. Procedeva a passi più veloci rispetto alle amarezze di risultati poco esaltanti. Orgoglioso di sentirmi uno in mezzo a tanti, esclusivo – e non diverso – tutte le volte che gli altri dicevano “bagnato” e io je rispondevo “fracico”. E quando mi addormentavo, Francè, immaginavo sempre le stesse identiche due scene: che stavo in mezzo al campo con la maglia della Roma e correvo, correvo e scartavo tutti; o che stavo seduto a una scrivania. E scrivevo, scrivevo anche sulle carte delle caramelle. Poi, un sogno dietro l’altro, un centimetro alla volta, un errore dietro l’altro sono diventato adulto. Da un momento, che ricordo solo vagamente ma in questo gli annali e le statistiche offrono un sostegno da “seduta psicologica”, sei entrato in casa nostra e nun te ne sei ‘nnato più. L’adolescenza è un tempo indefinito che poi finisce troppo presto. Vorresti esser grande in un istante. Solo dopo daresti qualche anno di vita in dote, pur di riaverla indietro. Ho rischiato più volte di lasciare la scuola e preferirle percorsi differenti. Avessi avuto i piedi buoni come i tuoi, m’avrebbero detto che solo con la tecnica e senza disciplina, allenamenti non si arriva da nessuna parte. Francè, papà mi faceva sempre l’esempio tuo: “Che pensi che er Capitano, senza sacrifici, potrebbe esse ogni giorno più forte?”. Nun ce crederai, ma a furia de sentirmelo ripete, France, me so’ messo a studià come ‘n matto. A testa bassa. Ar liceo, all’università. M’hai ‘mparato l’umiltà e a fa’ fatica. E tu, Francè, manco lo sai. Capitano, Perché con la maturazione, anche gli eroi e i miti riesci a vederli in maniera diversa. Non rivivo più i tuoi movimenti in campo per riuscire a trovare sonno. E’ arrivato un lavoro, una famiglia, sono arrivati problemi che mi tocca risolvere in prima persona perché non c’è più nessuno a pensarci per me. Come è giusto sia. Per questo, ora, la voglia matta di scriverti viene fuori da sé. Un giorno, magari, tornerò a Roma per imparare a conoscere la città in cui sono nato e che ho custodito come il tesoro più prezioso marchiatomi nel cuore da mio padre. Da mia madre. Ma fino ad allora, è te che porto a esempio di Roma, della Roma e della romanità. In questo non differisco affatto dall’intero popolo giallorosso. Assiepato in ogni porzione del pianeta. Chi per scelta, chi per necessità. Chi “col pensiero ricorrente” e chi con la fortuna di riuscire, ogni tanto, a farci una capatina. Nella Capitale, tra i rioni, in curva Sud, a casa. Tu sei Roma, Francè, perché per tanti come me la Capitale è alta un metro e ottanta, pesa ottantadue chili e sta mettendo su una squadra de calcetto. E sei la Roma, Francè, perché – credimi – riuscire a fare “piccoli così” quei giganti nell’eternità che sono Amedeo Amadei, Sergio Santarini, Giacomo Losi, Agostino, Aldair e il Principe Giannini è roba che solo se ne fondi quattro come pe’ fa’ ‘na lega metallica, ce puoi riuscì. Poi, sei pure la romanità. Schierato, brusco, schietto, sincero, appassionato e fiero. Dirtelo ora, dopo la finale di Coppa Italia, è il modo migliore che conosco per mostrarti riconoscenza. I sogni, i giornali, la scola: m’hai ‘mparato a crède e a ragionà, Francè. E de questo te ringrazio. Sei stato ‘n amico, ‘n confidente, sei stato – per quanto detto – il motivo che ha giustificato “il prezzo del biglietto” tutte le volte che ho avuto la fortuna di vederti in uno stadio che fosse a malapena vicino a dove abito. Perché quelle che per i romanisti sono trasferte, per me erano partite in casa. So’ cresciuto, Capità, e nun te posso dì che quello che ho visto ieri sia ‘n gesto da Campione. Quale sei. Nun te lo posso dì e nun te lo dico. Però, oggi, ti scrivo di getto per dirti che quanno me so’ sposato, da casa di mio padre e mia madre, ho portato con me le cassette di Venditti, gli odori di Castro Pretorio, i sapori di Trastevere, la caciara del Testaccio, le illusioni di Sant’Eustachio, le espressioni gergali di Campitelli, la maglietta di Agostino. Comprata al baracchino, forse per 5 mila lire.
Perché mio figlio, ne sono certo, sceglierà da solo. Sbaglierà, pagherà, cercherà nella maniera a lui più congeniale una felicità soggettiva. Tutta sua. Ma suo padre, quel poster, glielo metterà tra le mani e gli racconterà di chi sei stato. Di quello che ha fatto. E nel momento in cui mi dovesse chiedere perchè, sotto la tua gigantografia, appare una scritta grande così che recita “IL MIO CAPITANO” gli racconterò che quando l’ho impressa, erano le 22.28 del 5 maggio 2010. E comincerò a raccontargli di te proprio da quell’istante. Dicendogli che anche i personaggi più incredibili, qualche volta, se so’ bagnati. Fracichi. E’ così che gli presenterò Francesco Totti. Il mio Capitano. |
