Sono passati 41 anni da quel giorno. Lo stadio Amsicora di Cagliari è ormai un luogo senza più vita. L’abbandono cui l’ha consegnato da decenni la costruzione di quella cattedrale nel deserto che è lo stadio Sant’Elia (che avrebbe dovuto essere un vero e proprio monumento alle gesta epiche di “Giggirriva”, che oggi è invece ridotto ad un contenitore di tubi Innocenti sui quali istallare spalti per quei pochi irriducibili fans rossoblù), ne ha spento i ricordi. Un silenzio opprimente ha preso il posto dei “rombi di tuono” che regalarono ad un’isola intera il sogno di uno scudetto nel calcio e di un riscatto umano e sociale mai veramente completato.
Quarantuno anni fa, dicevamo. Allora, Giuliano Taccola, umbro di Uliveto Terme, paesino nel quale tutti lo conoscevamo come “Titti”, era un ragazzone di nemmeno 26 anni che giocava al calcio. Un calcio che cominciava a scoprire l’importanza della fisicità nel gioco. La tecnica individuale, sì, ma servivano anche chili e centimetri per imporsi. Soprattutto per fare gol, come dimostrava la grande vena di Gigi Riva. Cosi tutte le squadre cercavano di mettere al centro del proprio attacco il giocatore dotato fisicamente, dalla progressione potente e dalla elevazione imperiosa. Taccola veniva da una severa gavetta nelle serie minori. Aveva giocato nell’Alessandria in serie B, con l’Entella in C, poi a Savona, sempre in serie C, dove aveva realizzato 13 reti in 32 partite, per approdare al Genoa in B, dove non aveva spopolato in fase realizzativa (solo 4 gol in 32 partite), ma aveva messo in mostra una modernità nell’intendere il ruolo di attaccante, copriva vaste zone del campo, era velocissimo nei contropiedi, si dedicava a quello che oggi chiameremmo “pressing sul primo portatore di palla”, tutte caratteristiche non molto diffuse allora. Tutto ciò, gli aveva fatto guadagnare le attenzioni della Roma, che lo aveva portato nella Capitale negli ultimi giorni della campagna trasferimenti del 1967. Per la formazione di Pugliese, Taccola avrebbe dovuto essere una valida alternativa ad un reparto punte già coperto da Jair, Peirò, Fabio Enzo. Ed invece s’impose da titolare fin dalla prime amichevoli precampionato. L’inizio del campionato, poi, fu addirittura folgorante. Il 24 settembre del 1967, Giuliano Taccola fece il suo esordio in serie A. Un esordio da far tremare le gambe: a Milano contro la grande Inter di Helenio Herrera, Mazzola, Facchetti e compagnia. A lui le gambe non tremarono e trovò il modo di bagnare il debutto con il gol del pareggio (1-1), dopo che Facchetti aveva portato in vantaggio i nerazzurri. Poi aveva dato la vittoria alla Roma con un gol a Ferrara contro la Spal nella terza giornata e, alla sesta, segnò ancora contro l’Atalanta, in una Roma che aveva preso a volare inaspettatamente. La settimana dopo, i giallorossi vinsero a Torino con un gol di Fabio Capello e si istallarono al primo posto in classifica. Ovviamente, come succede spesso dalla nostre parti, eravamo tutti convinti di aver scovato il nostro Gigi Riva e di avere la possibilità di fare un grande campionato. Giuliano purtroppo s’infortunò, una distorsione alla caviglia dalla quale gli riuscì di uscire solo alla decima giornata con una bella doppietta casalinga contro il Brescia. Nel frattempo, anche la Roma aveva visto ridimensionati il suo ruolo e i suoi sogni, concludendo la stagione ai bordi della zona calda della classifica, senza infamia, ma anche senza lode. Taccola realizzò 10 reti. Un bottino di tutto rispetto se consideriamo il campionato a 16 squadre e la compagine nella quale lo aveva messo assieme, una squadra che non brillava certo in fase offensiva e che quell’anno segnò soltanto 23 reti in tutto. E, tenendo anche conto che i bomber erano allora merce rara (il capocannoniere del campionato fu infatti Pierino Prati con 15 gol), la stagione apriva a Giuliano Taccola prospettive interessanti per il futuro.
Ma “Titti”, purtroppo, di futuro dinanzi a sé non aveva ancora molto.
L’anno successivo, fu quello dell’arrivo del “mago” Helenio Herrera sulla panchina della Roma. Il tecnico artefice dei successi della Grande Inter di Moratti (padre), intuì subito le potenzialità di Taccola e lo riteneva un giocatore fondamentale per il suo primo scacchiere giallorosso. Giuliano segnò 7 reti nelle prime 12 gare di campionato e niente sembrava arrestarne la marcia verso i massimi livelli del calcio nostrano. Di lui si parlava anche in chiave nazionale azzurra. E invece… Prima un altro infortunio al malleolo, poi l’operazione alla tonsille. Una banalità, almeno così sembrava. Ma da cui Giuliano non sembrava riuscire a guarire completamente. Era notevolmente deperito durante la convalescenza dall’intervento, aveva perso peso e forza muscolare. E quando tutto sembrava esser tornato normale, andava al campo ad allenarsi. Ma le gambe non giravano come dovevano. La sera a casa, poi, ritornava la febbre in un calvario puntuale e senza fine. Qualcuno cominciò persino ad insinuare che il ragazzo aveva perso la voglia di sacrificarsi anche perché, seguendo la rigorosa prescrizione del chirurgo che lo aveva operato, rifiutava di sottoporsi a eccessive somministrazioni di farmaci. C’era solo una puntura non si sa bene di che, così almeno raccontò tanti anni dopo la vedova Marzia, che gli donava qualche momento di sollievo. Finito l’effetto, tornava la febbre. Herrera fremeva per rivederlo in campo e pressava i medici perché gli dessero il permesso di riportarcelo. Così, nonostante lui si sentisse uno straccio, Herrera volle portarlo a Cagliari. Provò a giocare la mattina di quel maledetto 16 marzo. Il risultato fu che di nuovo ricomparse quella terribile nemica che da mesi lo perseguitava: la febbre. A fine partita, pallido e febbricitante, si recò negli spogliatoi. Con lui in quel momento c’erano, sembra, Scaratti, D’Amato e Cordova. Si sentì male e lo sdraiarono sul lettino. Qualcuno, forse il massaggiatore Minaccioni, gli praticò una iniezione, ma appena l’ago lo penetrò Taccola venne preso da spasmi brevi e intensi. Poi più nulla: era morto.
Qualche anno fa, mentre parlavamo con Giacomino Losi, ci raccontò quel che gli avevano riferito i suoi compagni presenti a Cagliari accanto a Taccola. “Rimase lì nello spogliatoio, abbandonato da tutti. Herrera disse: è morto. Andiamo via, non c’è più niente da fare. E noi dobbiamo rientrare a Roma, che mercoledì abbiamo un’altra partita…”.
Lasciamo ad altri le polemiche e i misteri che avvolgono la morte di Giuliano Taccola. Noi qui abbiamo solo voluto ricordare quel ragazzone con la maglia giallorossa, che ci aveva regalato l’illusione e l’orgoglio di aver trovato anche noi tifosi della Roma il nostro Gigi Riva.