Categorie Articoli by CdR Pantheon giallorosso Scritto da Filabassa mercoledì, 17 Febbraio alle ore 12:01
Il 16 luglio del 1950 è un giorno che i brasiliani non dimenticheranno mai. Anzi, che ricordano come un vero e proprio incubo. Avevano costruito il più grande stadio di calcio del mondo, un impianto che conteneva (dicevano allora) 200mila spettatori. Si erano assunti l’onere di ospitare la quarta edizione della fase finale della coppa Rimet, sicuri come erano di vincerla. L’Europa era ancora sconvolta dal conflitto che l’aveva ridotta ad un cumulo di macerie e non era certo in grado di ospitare una manifestazione che aveva ormai conquistato la stessa importanza delle Olimpiadi moderne. Certo, la distanza non favoriva le compagini del vecchio continente e le sudamericane erano le grandi favorite. Su tutte, ovviamente, il Brasile. I verdeoro passarono come un rullo compressore su tutte le avversarie, eccezion fatta per una inutile partita con la Svizzera. Nel girone di finale avevano devastato la Svezia (7-1) e la Spagna (6-1). Nell’ultima partita, quella con l’Uruguay del 16 luglio 1950, bastava loro un pari per fregiarsi del titolo di campione del mondo. La vigilia era trascorsa fra i grandi proclami dei brasiliani e la spasmodica attesa dei tifosi. Il tecnico uruguagio, Varela, si trovò a parlare con Juan Alberto Schiaffino, il suo giocatore più rappresentativo, e vide nelle vicinanze molti componenti della nazionale brasiliana. Così esclamò ad alta voce, per farsi udire da tutti: “Pepe, se domani perdete con soli tre gol di scarto, per me avete fatto appieno il vostro dovere!”. Ovvio, uno dei tanti mezzucci per sconcertare gli avversari. Varela conosceva bene il carattere dei suoi calciatori e l’orgoglio e la smisurata classe di Schiaffino. La partita fu un incubo per i brasiliani, che raccontarono dopo: “Dovunque ci muovessimo nel campo, dovunque guardassimo, noi vedevamo Schiaffino sulla traiettoria del pallone”. |