Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Marforio mercoledì, 12 Marzo alle ore 08:37
Annalisa guardò l’orologio. Erano le tre e un quarto di domenica pomeriggio. Scosse la testa e sul suo volto si dipinse l’espressione birichina di una bambina che sta per combinare una marachella. Non resistette oltre e accese la radio. “No, che non mi distraggo. Giuro che non mi distraggo, ma non posso resistere senza sapere il risultato”. Disse questo a se stessa, o forse alla sua coscienza in agguato. Davanti a lei, aperto sul tavolo della cucina, c’era il compendio di diritto amministrativo e Annalisa era sicura che se avesse avuto la possibilità di dire la sua l’avrebbe rimproverata aspramente. E dire che Giovanni era andato a correre proprio per non distrarla e lasciarla tranquilla a studiare. Erano settimane che rubava ogni minuto al suo tempo libero per preparare gli orali del concorso. Seguire la partita, seppure solo alla radio, le sembrava un crimine. Sintonizzò la radio con trepidazione e ci mise qualche istante a capire: la Roma era già in vantaggio al San Paolo. Peccato, si era persa uno dei gol “zampati”! La domenica, quel giorno della settimana che per lei era sinonimo di Roma, si stava trasformando in un tormento. Ora i suoi sensi erano veramente sottoposti ad uno stress notevole. Gli occhi fissi sul testo, un orecchio teso allo scorrere della radiocronaca e l’altro pronto a cogliere ogni minima increspatura nel respiro di Matteo, il suo cucciolo di quattro anni che, in preda all’ennesima influenza stagionale, dormiva nel suo lettino. Annalisa si morse un labbro e si rese conto che stava cercando di far quadrare troppe cose nella sua vita. Madre, moglie, figlia, lavoratrice precaria aspirante ad un posto fisso, partecipante ad un concorso pubblico e tifosa. Se la giornata fosse stata un po’ più lunga delle canoniche ventiquattro ore avrebbe avuto una sola possibilità di farcela. Ma così? Nel frattempo la partita scorreva senza particolari sussulti anche se, come al solito, la Roma faticava a trovare il gol della sicurezza. Le pupille scorrevano il testo dandole l’impressione di concentrarsi. Ma stava leggendo davvero? e, soprattutto, capiva ciò che leggeva? Un lungo sospiro, frutto probabilmente della postura, sembrò convincerla del contrario. Ma Annalisa non voleva lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Vincere il concorso era troppo importante. Doveva andare avanti con la stessa lucida determinazione che l’aveva guidata per i trentadue anni della sua vita. Certo se ripensava alla sua giornata tipo non c’era da stare allegri. La sveglia alle cinque del mattino, il tempo di preparare la colazione per Giovanni e per Matteo, di prepararsi lei stessa, che pure non si curava mai troppo del suo aspetto, e poi la corsa all’asilo per accompagnare il piccolo e di nuovo a passo svelto a prendere il trenino per Roma, pressata come una sardina. L’arrivo all’agenzia di pratiche auto in cui lavorava part time, il trillo continuo del telefono, le piccole arrabbiature quotidiane, magari una bella fila alla posta o in banca, i moduli da compilare, l’archivio da tenere in ordine e poi di nuovo in strada, senza neppure il tempo di un panino. Il trenino per Acilia, di nuovo all’asilo a prendere Matteo, un salto al supermercato e, una volta a casa, passare un po’ di tempo con Matteo, preparare la cena e trovare quella mezz’ora almeno per studiare. Quando non ci si mettevano le visite mediche, le festicciole di Matteo, i piccoli impegni familiari. La Roma, la sua piccola e grande consolazione, le sembrava ora così lontana. Come una vecchia amica a cui si telefona di tanto in tanto promettendole di passare finalmente un po’ di tempo insieme. Da quanto tempo non andava allo Stadio? Però nel suo cuore la Roma occupava il ruolo di sempre. Perché non si è romanisti per caso, soprattutto se è stato papà a fartici diventare. La fine del primo tempo fece scattare in lei un riflesso condizionato. Si alzò, si stiracchiò sentendosi un po’ indolenzita perché lo sgabello della cucina non era il massimo dell’ergonomia, bevve un bicchiere d’acqua e si precipitò con passo felpato accanto al lettino di Matteo che, come suo solito, si era scoperto. Rincalzò le coperte cercando di non svegliarlo e lo baciò sulla fronte. La febbre, almeno, stava scendendo. Poi tornò in cucina e prese ad andare avanti e indietro ripetendo le ultime cose lette. Il suo udito colse alla radio che qualcosa stava accadendo in campo. Il Capitano stava per calciare un rigore. Istintivamente diede le spalle alla radio ripetendo il gesto che faceva allo Stadio, perché lei allo Stadio i rigori non li guardava e si metteva spalle alla porta. Scaramanzia allo stato puro, oltretutto inutile. Che senso ha dare le spalle ad una radio? Il gol che seguì pochi attimi dopo, esaltato dalla tipica esultanza di Carlo Zampa, la fece saltellare come se fosse stata presente al San Paolo e il gesto che, in perfetta solitudine, fece col braccio non era proprio degno di una signora. L’energia che sprigionava dalla radio sembrò contagiarla e in pochi minuti divorò un intero capitolo del libro. Si sentiva in piena sintonia con la squadra. In fondo il mondo è pieno di mediocri che vanno avanti a forza di “aiutini” e se ci credevano loro, ci avrebbe creduto anche lei che al fischio finale si concesse solo un contenuto “evvai!” stringendo i piccoli pugni. La partita finì pochi minuti prima che lo scatto della serratura del portoncino d’ingresso l’avvisasse del rientro di Giovanni. L’aspetto stranamente riposato di suo marito, che non manifestava alcuno dei segni rivelatori di una corsa all’aria aperta, la indusse a credere che invece di andare a correre fosse andato a vedersi la partita. Lui la baciò e le chiese come fosse andata e lei rispose che era stato certamente un pomeriggio molto proficuo, accompagnando le parole con un’espressione radiosa del volto. I due si scambiarono lo sguardo complice di chi è certo di aver scoperto il segreto dell’altro, ma non ha alcuna intenzione di darlo a vedere. E tutto va come deve andare |
