Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Marforio giovedì, 6 Marzo alle ore 10:26
Luca spense il televisore. Era quasi l’una di notte e, in fondo, il giorno dopo bisognava pur lavorare. Si guardò intorno stralunato. La tavola era rimasta apparecchiata e lui sorrise. Quella vista gli rammentava gli ultimi versi della poesia recitata da Valerio Mastandrea dopo Manchester: “che dopo er sette a uno c’ha lasciato a sparecchià”. Solo che stavolta quelli da raccattare non erano i brandelli del suo cuore che in quella malaugurata sera si era rotto in mille pezzi, ma i resti di un’improvvisata baldoria. La Roma era ai quarti di champions e lui non riusciva ancora a crederci. Quanto tempo era passato da quella serata da incubo? La sera di Manchester la ricordava ancor più nitidamente di quella appena trascorsa. L’eccitazione delle ore che avevano preceduto la partita, la sua irragionevole sicurezza, la presunzione che fosse arrivata l’ora giusta per riscattare un’altra sera disgraziata, quella “notte di sogni di coppe e di campioni” che lui, adolescente, aveva trascorso in lacrime al Circo Massimo. Di quella sera di Manchester aveva fatto tesoro, resistendo alle sirene, ai gufi, agli avvoltoi che svolazzavano sopra la sua testa. Era bastato poco a far rialzare loro la cresta. Tornando dall’Olimpico la sera di Roma-Real aveva ascoltato alla radio i commentatori di professione sbrodolarsi nel dire che anche all’andata col Manchester era finita due a uno per noi. Come dire che al ritorno anche il Real ce ne avrebbe fatti sette. E lui li aveva ripagati con la stessa moneta. Per quindici giorni era andato a dire in giro che avrebbero perso di sicuro. Che era meglio schierare la squadra primavera, che a Madrid ci avrebbero “matato”. Era stato coerente e tenace anche negli sms del prepartita. Certo che avrebbe voluto andarci anche lui al Santiago Bernabeu. E un pensierino con la sua Monica ce l’aveva anche fatto. In fondo erano anni che non si levavano uno sfizio e nonna Adele sarebbe stata ben felice di ospitare per qualche giorno Carlotta, la sua lupacchiotta di quattro anni. Ma un po’ la scaramanzia, un po’ il delicato equilibrio del bilancio familiare, l’avevano fatto desistere. E poi si era sotto elezioni e per Monica, impiegata all’Ufficio Elettorale del Comune, non ci sarebbe stato verso di ottenere le ferie. Luca aveva vissuto una vigilia insolitamente calma pensando che, a forza di dirlo, forse aveva iniziato anche lui a credere che sarebbero usciti sconfitti. Aveva chiuso lo Studio alle 17, un’ora insolita per lui abituato a lavorare fino a tarda sera, e si era rintanato in casa, passando il resto del pomeriggio a giocare con Carlotta. Monica era rientrata intorno alle 19 e gli aveva chiesto se voleva vedere la partita con Roberto e Marzia, gli amici di sempre, scontrandosi con lo sguardo inorridito di Luca che non voleva turbare il delicato equilibrio astrale della serata. Aveva passato quasi un’ora Luca appresso a Carlotta per farla mangiare. La piccola, infatti, era sovreccitata anche per colpa di Luca che, una volta tanto, era tutto per lei. Lui che non riusciva a passare con la figlia tutto il tempo che avrebbe voluto. Poi, mentre Monica preparava la cena, aveva adagiato sulla spalliera del divano la sciarpa nuova e si era messo a fare zapping tenendo sulle ginocchia l’inquieta Carlotta. Aveva trangugiato a fatica la bistecca e l’insalata preparate da Monica e aveva guardato in tralice la moglie portare in tavola la bottiglia di champagne che alcuni amici gli avevano regalato qualche giorno prima per il loro anniversario di matrimonio. Temeva che quel gesto avrebbe rotto l’incantesimo. Monica l’aveva guardato sospirando e dicendogli con calma che era meglio finirla prima, la bottiglia, perché dopo la partita forse non ne avrebbero avuto più voglia e lui si era lasciato convincere. Mal che vada avrebbe affogato il dispiacere nelle bollicine. Avevano vissuto così la partita, lui con Carlotta sulle ginocchia su di un divano e Monica in religiosa concentrazione sull’altro. Avvolti da un silenzio surreale visto che, stanco degli “imparziali” commenti dei telecronisti di Sky, aveva regolato l’audio in modo da sentire solo i rumori di fondo del Bernabeu. La piccola si era assopita quasi subito, per poi svegliarsi di soprassalto e chiedere di Toto, il nome col quale lei, dopo mesi di indottrinamento forzato, chiamava ora il Capitano. La presenza della piccola gli era costata l’astinenza dalle sigarette, ma, aveva pensato Luca, in fondo cosa avrebbe potuto aggiungere qualche grammo di nicotina all’adrenalina che già scorreva nelle sue vene? Al gol di Taddei si era alzato in piedi in un attimo, quasi fosse allo Stadio, attento a non far volare via Carlotta, salvo sprofondare nel divano solo due minuti dopo, al pareggio, in fuorigioco, di Raul. Poi al gol di Vucinic era stata l’apoteosi. Immediatamente si erano scatenati gli sms e le telefonate, seguiti, poco prima di mezzanotte, da una citofonata prolungata, talmente rumorosa da far rizzare i capelli. Lì per lì aveva pensato a tutto, persino ad una disgrazia, rimanendo quasi paralizzato, ma ci aveva pensato Monica a rassicurarlo, dicendogli che erano Marzia e Roberto che chiedevano se potevano salire a festeggiare. Il resto della serata era trascorso in un susseguirsi di brindisi, perché Roberto non era venuto a mani vuote, interrotti solo dall’ascolto delle interviste di rito, di abbracci e di “dolci dediche”, a cominciare dai loro vicini, i lugubri laziali della porta accanto i quali, ne era certo, erano svegli anche loro, seppure agitati da sentimenti opposti. Carlotta, intanto, si era svegliata definitivamente preoccupando non poco Monica che aveva apostrofato Luca dicendogli che adesso sarebbe toccato a lui metterla a nanna. Così Luca, congedati in fretta Marzia e Roberto, aveva accudito Carlotta con infinito amore e l’aveva adagiata nel lettino dicendogli che sì, Toto aveva vinto, ed erano tutti contenti. Le aveva messo accanto il lupacchiotto di peluche e poi, memore di quello che aveva fatto una volta Fabrizio con suo figlio Michelino, aveva annodato ai piedi del lettino di Carlotta la sua sciarpa, come un totem protettivo. Notte da non dormire |
