martedì, Luglio 01, 2025 Anno XXI


Campo Testaccio Roma - Pro PatriaPer chi scrive queste piccole note, tentando di raccontare storie con la segreta e inconfessabile ambizione di suscitare delle emozioni, non esiste maggior soddisfazione nel vedere riscontrato questo desiderio. E, una volta, è successo anche di vedersi rispondere con una sorta di gratitudine.
Il dottor Sergio Fasanelli, figlio di Cesare Augusto Fasanelli, grande mezz’ala della Roma di Testaccio di cui fu motore e freccia, l’uomo che in quel mitico campo sotto il monte dei Cocci ha segnato più d’ogni altro a parte Volk, ha infatti voluto regalarci questa meravigliosa soddisfazione. Successe che, avendo riscontrato in anni passati, ma personalmente tramite le testimonianze dirette dei suoi compagni di squadra Antonio Degni e Carlo Zamporlini, che Cesare Augusto Fasanelli il 3 maggio del 1931 aveva segnato cinque gol tutti in una volta al Livorno, precedendo quello che cinquant’anni dopo avrebbe fatto anche Bomber Pruzzo con l’Avellino, scrivemmo un articoletto per confermare quello che invece in molti avevano messo in dubbio. E che, fra l’altro, costituirebbe il vero record di marcature multiple per un giocatore in una partita di serie A, dato che quello ufficiale di sei reti, Omar Sivori lo mise a segno nel 1961 contro l’Inter schierata con la formazione Primavera per protesta contro i soliti soprusi bianconeri.
“Mio padre, quando da ragazzino mi portava allo stadio – ci raccontò il dottor Fasanelli in quella occasione – dopo che aveva appeso gli scarpini al fatidico chiodo, aveva sempre un atteggiamento critico contro il mondo del calcio, amaro come di chi sentiva di non aver ricevuto per quanto dato, per il talento, la passione e l’impegno speso in tanti anni di carriera. Sotto il profilo strettamente tecnico, poi, non ne passava una a nessuno”.
Fasanelli tiraCesare Augusto Fasanelli, romano classe 1907, cominciò la sua carriera nell’Alba Roma, una delle società confluite poi nel 1927 nell’As Roma. Indossò per 170 volte la maglia giallorossa, segnando 57 gol in sette stagioni. Venne poi ceduto al Pisa nel ’33. Giocò anche con Genoa, Fiorentina e Parma, fino al 1940. Rimase, però, sempre legato alle sue origini romane e romaniste, così, in quell’anno, contattò il presidente Sacerdoti per tornare a vestirsi di giallorosso. Dopo varie peripezie burocratiche ed economiche, risolte anche con esborsi personali, riuscì a venire in possesso del suo cartellino ma, a quel punto, il suo posto nella Roma non c’era più. Continuò allora, in quegli anni di guerra, a tirar su quattro paghe per il lesso giocando nei campionati cittadini di allora con la Mater, l’Ala Littoria e così via. Il conflitto mondiale, si portò via quel pizzico di agiatezza economica conquistata nei fulgidi anni testaccini e Cesare Augusto dovette così rimboccarsi le maniche, rispolverare quel vecchio diploma di ragioniere conseguito in gioventù ed andare a lavorare ai mercati generali. Il calcio, così, diventò solo un ricordo, glorioso per certi versi, foriero di amarezze per altri.
Quel nome da condottiero che suo padre, Pio Fasanelli, socialista libertario della prima ora, commediografo e poeta in lingua romana, grande amico di Trilussa, gli aveva dato, rispettava una tradizione di famiglia. Aveva infatti due fratelli di nome Ivanoe e Leonida. Fra l’altro, tutti e tre i fratelli Fasanelli avevano ereditato i nomi di altri figli di Pio, morti prematuramente. Ma fu per tutta la sua vita un imperatore… senza corona. Non vinse mai con la Roma quello scudetto che negli anni migliori di Testaccio la squadra avrebbe ampiamente meritato. E non fu mai (questa fu forse la delusione personale più grande) convocato in Nazionale. Si era vestito d’azzurro con la nazionale universitaria alle Olimpiadi della gioventù goliardica, vincendo il titolo a Darmstadt in Germania nel 1931, ma niente di più.Testaccio In quegli anni, era di gran lunga la migliore mezz’ala italiana, ma il ct Pozzo era praticamente razzista nei confronti dei romani, così gli preferiva centravanti cambiati di ruolo, come Meazza, o languidi argentini naturalizzati come Cesarini e De Maria.
Concludiamo allora con un altro ricordo del figlio Sergio. “Durante la guerra, le difficoltà economiche costrinsero mio padre e vendere tutti i suoi trofei, le medaglie, le coppe, i ricordi di una vita di atleta e di romanista. Tempo dopo, io e la mia mamma Lavinia tentammo di ritrovare almeno qualcosa di quel glorioso passato. Bene, le uniche cose che riuscimmo a rinvenire, furono le comunicazioni delle multe che la società giallorossa gli aveva comminato. Dalle motivazioni riportate, viene fuori il ritratto di un tipo con un caratterino niente male, di uno al quale saltava spesso la mosca al naso, che usava dire pane al pane senza tirarsi indietro…”.
Uno della Roma di Testaccio, insomma!

Ps Nel prossimo articolo Agostino Di Bartolomei