Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Gruppo Facebook martedì, 1 Dicembre alle ore 02:13
Non è che sono anti laziale, è che qualche personaggio senza profilo mi ci ha fatto diventare . I miei amici mi prendono un po’ in giro per una serie di caratteristiche che mi contraddistinguono da coloro che: “in fondo siamo cugini”. Per dare un chiaro esempio a cosa mi riferisco bisogna che faccia un paio di passi indietro, per dare un’idea da dove nasce questo mio antagonismo, che a volte mi porta al limite della paranoia. Non ho mai avuto nessun problema a confrontarmi con la sponda biancoceleste, fino a quando non c’è stata la finale di Coppa dei campioni del 1983/84. La loro gioia sfrenata per la nostra disperazione ha innescato in me un odio che prima mai avevo riscontrato. Aver perso la finale del mio riscatto, sportivo e sociale, e aver visto le scene di finti personaggi, che solitamente vedevo parlare in televisione solo delle vicende della Roma mi disgustarono. Dietro la maschera della loro sportività era nascosta l’immagine della loro cattiveria. Mi resi conto, proprio in quel momento, delle enormi differenze anche di carattere sociale tra Noi e Loro: tra gli Orazi e Curiazi dei giorni nostri.
La Roma si dice, è l’espressione popolare/aristocratica della città. I tifosi della Roma, è bene chiarirlo, sono la maggioranza e ricoprono un buon 80% delle preferenze calcistiche della capitale. Questo non vuol dire niente, sia chiaro. Non ha molto valore rimarcare il fatto di essere nati prima, come non è importante –da parte nostra- rilevare di avere la prevalenza numerica. Siamo parlando di due tifoserie, diverse tra loro, ma passionali allo stesso modo verso la propria squadra. Certo loro hanno la sofferenza nel Dna: undici retrocessioni, mesi a trepidare per processi sportivi vari e sventati fallimenti dell’ultima ora. Una sofferenza che rafforza l’amore o lo spezza definitivamente, e va dato atto ai biancoazzurri di aver dimostrato un amore incondizionato verso la loro squadra. Da parte nostra c’è la battaglia che puntualmente esercitiamo per difendere e rimarcare che: “essere romano non è una discriminante ma un valore aggiunto”. Difendiamo la nostra romanità con: ardore e appartenenza ad oltranza, ed è forse questo che fa rosicare gli altri, che esprimono l’ appartenenza che gi compete sul divano di casa, una volta a settimana. La mia faziosità è verso la cattiveria gratuita: non mi sono mai permesso di sfottere un cugino, e ne avrei avuto modo, visto la storia e le vicende della squadra bianco e azzurra. Non sopporto, per fare un esempio, come le radio locali che parlano di Lazio, nel loro palinsesto parlano poco della loro squadra e molto ed a sproposito della nostra. In un confronto mediatico dell’etere è la differenza che ci contraddistingue: Noi e Loro. Certo, può capitare che si parli anche della Lazio nelle radio di casa nostra, ma mai ho avvisato un acredine quasi a sfiorare l’odio. L’esempio da seguire sulla strada dell’odio a prescindere, viene proprio dai loro giocatori. Iniziatore ed esempio bandiera fu un certo “Giorgio Chinaglia” giocatore della Lazio diventato simbolo e bandiera, non per aver vinto una coppa o un campionato per quella gente, ma per avere avuto il coraggio e l’ardore di venire con un dito alzato, dopo averci segnato una rete sotto la nostra curva, in un derby dei tanti. Trovò la notorietà per quel gesto, non tanto per quel gol. Un gesto che con fare calcolatore gli permise di ergersi ad “eroe e condottiero” prima di “fuggire” negli Stati Uniti D’America per esportare il verbo del Dio pallone. Da quel gesto, il laziale prototipo, si sentì ripagato della tanta mediocrità ed anonimato accumulata negli anni. Lo erse a simbolo di come: “per essere laziali bisogna per prima cosa, essere antiromanista”. La storia si ripeté qualche anno dopo con un certo Di Canio, nato al Quarticciolo (quartiere di Roma dove “la Lazio è una regione italiana, che qualcuno ha scritto con l’articolo sbagliato d’avanti”) e per errore, diventato laziale, perché alcuni lo portarono a fare un provino per la Lazio. Il Quarticciolo, che poi confina con il quartiere Centocelle è da sempre una rocca forte della nostra tifoseria. Ma tornando al gesto: la partita era un derby dei fine anni 80. Eravamo asserragliati in uno spicchio di curva per via della ristrutturazione dello stadio Olimpico. La nostra squadra navigava tra i primi 5 posti della classifica. La Lazio, navigava nelle parti basse della competizione e fu costretta a far esordire un giovane primavera di cui nessuno aveva mai sentito parlare. Questo giovane, era Paolo Di Canio che, per ironia della sorte, segnò uno dei suoi pochi gol in carriera sotto la nostra curva, ed indovinate quale parte della mano pensò di mostrarci?. Quindi un altro eroe che si erse a condottiero di un popolo vessato e disgraziato. Ma arrivarono i richiami dei soldi ed il condottiero preferì “essere un gagliardetto della juventus, piuttosto che una bandiera della Lazio”, almeno è quello che dichiarò ai giornali sportivi del nord quando decise di cambiare aria. Nei successivi anni si distinse per essere stato un gagliardetto di dodici squadre diverse, ed è per un puro caso che non approdò nella Roma del compianto Presidente Viola che aveva, come abbiamo visto in precedenza, una particolare predisposizione a mettere sotto contratto giocatori dell’altra sponda: sfido qualsiasi statistico del mondo del calcio a dimostrare che ci sia stato solo un giocatore della nostra società ad aver insultato la tifoseria della Lazio. Un altro stile il nostro, non c’è niente da fare. Quindi c’è un odio a prescindere, ed è questa gratuita ostilità che combatto, che non mi fa essere lucido quando ho a che fare con un tifoso della Lazio, che conosca o meno, in qualche discussione da “bar dello sport”. Quando ho di queste discussioni, preferisco cambiare aria ed andare per i fatti miei a smaltire l’incazzatura altrove. Per dirla tutta, anche tra noi c’è chi prima di essere romanista è antilaziale, ma è frutto delle considerazioni fatte in precedenza, non certo per uno sviscerato ed idiota “odiare a prescindere”. Riguardo a me, per la serie “non siamo tutti uguali”, (anche se i miei amici rimarrebbero stupiti da ciò) non ho mai ostentato felicità sfrenata per qualche disavventura dei cugini, anzi, se non altro, per rispetto di qualche mio amico laziale, sono stato uno dei primi nel consolarli per qualche infausto fatto accadutogli, ma anche uno dei primi a complimentarmi per qualche loro vittoria: sono ancora in attesa che qualche amico laziale abbia lo stesso atteggiamento con me in circostanze analoghe, ma si sa che lo stile o lo hai o non lo avrai mai. Ci vantiamo ed ostentiamo la nostra “romanità” in virtù del nostro nome e dei colori sociali. Da parte loro è preponderante rimarcare la loro genesi, avvenuta ventisette anni prima della nostra nascita calcistica, questo non significa che, se pur nati dopo e nella stessa città, non abbiamo diritto di esistere o di sentirsi parte della stessa. Sono proprio gli sforzi che fanno per rimarcare che: “a Roma ci sono anche Loro” dimostrazione di quanto soffrano la nostra realtà, sociale e sportiva. A mio avviso, la prima sconfitta della storia della Lazio, sta nel fatto che pur essendo nata quasi trent’anni prima, nel contesto di rappresentare un contesto cittadino, non è stata mai accostata a nessun tipo di “romanità”. Il nostro fregio è che poco importa che la Roma sia nata trentenni dopo, l’orgoglio che portiamo è rappresentare questa città ad ogni latitudine: una sera, in una trasmissione televisiva, uno dei tanti salotti del lunedì sera, un giornalista senza conflitti di interessi, in occasione della visone delle riprese televisive che ritraevano due milioni di romani al Circo Massimo intenti a festeggiare il terzo scudetto della nostra storia dichiarò: “Caro Melli, Roma è la Roma, la Lazio è un’altra cosa”. Saluti e rispetto per tutti, ma la Roma è veramente un’altra cosa.
Massimo Lanzi Tag:massimo lanzi, Roma-Lazio |
