martedì, Luglio 01, 2025 Anno XXI


Fulvio BernardiniFu per tutta la sua vita un innovatore. Uno avanti ai propri tempi, e di molto. Forse il primo esempio in Italia di calciatore laureato, nella cifra del suo stipendio all’Inter faceva parte anche il costo dell’iscrizione alla Bocconi, presso la quale ottenne la laurea in Scienze Politiche. E, calcisticamente parlando, era una sorta di “scienziato”. Lo storico ct della nazionale, Vittorio Pozzo, usava dire che non lo faceva giocare in azzurro perché era così bravo che i suoi compagni non lo capivano, insomma che, tecnicamente parlando, parlava una lingua incomprensibile per i giocatori di allora. Giocatori che, nel ’34 e nel ’38, vinsero i mondiali.
Nato il primo gennaio del 1906, fu ingaggiato giovanissimo dalla Lazio. Lui voleva per la verità andare a giocare nella Fortitudo, ma arrivò tardi al provino. Giocò prima in porta, poi centravanti. Nell’Inter cominciò in attacco, per venire poi impiegato al centro della mediana difensiva (allora si diceva centrosostegno). Impiegato in banca, si trovò ben presto di fronte ad una scelta difficile: continuare col calcio o scegliere la più tranquilla e sicura carriera nell’istituto di credito. Scelse il calcio e fece bene. Nel 1928, arrivò finalmente alla Roma. Ne divenne a lungo il simbolo ed il leader indiscusso. Purtroppo non così fulgida sarà la sua carriera di allenatore della Roma. Capitò in un momento di confusione e di vacche magre. In seguito, come allenatore, creerà veri e propri miracoli di calcio con la Fiorentina campione d’Italia nel 1956 e il Bologna scudettato nel 1964.
Bernardini e BearzotFu anche uno dei primi calciatori per i quali venne coniata l’espressione di “aventiniano”. Allora e fino al varo della legge 91, il vincolo per i calciatori con la società era a vita ed ogni anno si discuteva l’ingaggio. Quando un calciatore rifiutava l’offerta della società e non riprendeva ad allenarsi, giornalisticamente passava per uno ritiratosi sull’Aventino di antica romana memoria. Bernardini, all’inizio della stagione 1934-’35, ingaggiò un vero e proprio braccio di ferro con la società (alimentato pure dalla presenza nella rosa giallorossa dell’oriundo argentino Stagnaro, che gli faceva ombra nel suo ruolo). Quando, ottenendo un buon aumento, la vertenza si concluse, Fuffo, che era sempre stato un appassionato di auto, si regalò una fiammante Augusta nuova. Nel gennaio del ’35, di ritorno da una convocazione in sede, si ritrovò imbottigliato nel traffico in piazza Venezia. Risalì per via 4 novembre e si trovò di fronte una voluminosa Astura che ingombrava interamente la sede stradale. Spazientito, Bernardini cercò di farsi largo a colpi di clacson. Poi, dove la strada si allarga in una piazza verso la rotonda della salita Magnanapoli, azzardò il sorpasso. Sfiorò leggermente il predellino dell’Astura e ne apostrofò il conducente: “Ma chi ti ha dato la patente?!?!?”.Lancia Augusta Solo che, quando riuscì a scorgere gli occupati del macchinone, gli si gelò il sangue: riconobbe una pelata ed un capoccione inconfondibili. Sì, quella era la macchina che stava trasportando Benito Mussolini. A casa, un’ora dopo i più neri presagi di Bernardini si materializzarono. Due signori dall’aspetto severo si presentarono a casa sua, gli chiesero la patente e se la portarono via senza dare tante spiegazioni. E non gli arrivarono comunicazioni per sei mesi. La Augusta nuova rimase in garage. L’arrivo a Roma di Eraldo Monzeglio, amico dei figli di Mussolini e addirittura insegnante di tennis del Duce (proverbiale l’aneddoto della lezione in cui Monzeglio si rivolse a Mussolini dicendo: “Duce, oggi tiriamo di rovescio”, cui il capo del fascismo rispose perentoriamente: “Monzeglio, come sempre noi tireremo diritto!!!!”), dette a Bernardini l’occasione di informarsi sulla sua patente. L’amico Monzeglio organizzò all’uopo un doppio a villa Torlonia fra il Duce e Aliotti (un giocatore di Prima categoria) da una parte, e gli stessi Monzeglio e Bernardini dall’altra. Vinse ovviamente la coppia Mussolini-Aliotti, fra sperticati complimenti da parte degli “avversari”. A Bernardini, ovviamente, venne ridata la patente di lì a pochi giorni.
Divenuto nell’estate 1974 Commissario tecnico della nazionale, che andava ricostruita dopo le macerie lasciate dal Mondiale di Germania, intraprese, a bordo della sua fida Alfa 2000, un giro dei ritiri estivi della compagini di serie A. Chi scrive ebbe la fortuna di incontrarlo a Norcia, nel ritiro della Roma. Ci parlò di un ragazzino di 19 anni che aveva visto in maglia giallorossa e ci predisse che sarebbe divenuto ben presto il “Rivera della Roma”. Stava parlando di Agostino Di Bartolomei. Come al solito, aveva visto tutto con anni di anticipo.