martedì, Luglio 01, 2025 Anno XXI


Attilio Ferraris IVQuando alla vigilia dei mondiali di Italia ’90, la Rai mandò in onda la fiction “Il colore della vittoria”, che ricordava il successo della nazionale di Vittorio Pozzo nella edizione della rassegna iridata del 1934, la famiglia di Attilio Ferraris IV si lagnò e non poco con lo sceneggiatore del film tv, il giornalista Lino Cascioli. La lamentela nasceva dal fatto che dal racconto veniva fuori una figura dal tratto rozzo, popolano nel senso deteriore del termine, impresentabile nel bel mondo, e che questo non si addiceva per niente a quello che Attilio Ferraris IV era stato in vita.
Nella realtà, “Tillio” era stato un uomo dai gusti raffinati, ricercato nel vestire, amante delle donne (nella fiction gli si attribuisce persino una relazione con una giornalista Usa, conquistata durante una sorta di intervista realizzata negli spogliatoi mentre calciatori azzurri e yankies si esibivano in campo…!), cultore delle macchine di grossa cilindrata e, soprattutto, col demone del gioco istillato nell’anima. Gioco che gli risucchiava, senza rimorsi da parte sua, gran parte del denaro guadagnato con il calcio. “Se avessi ancora i soldi persi ai cavalli e ai cani, ma sai quanti soldi me giocherei ancora!!!”, amava dire con una risata.
Soltanto che queste abitudini, spesso, mal si conciliavano con il ruolo di calciatore. Spesso saltava gli allenamenti, aveva un caratterino poco incline alla disciplina. Il presidente Sacerdoti aveva dovuto spesso proteggerlo dalle sfuriate degli allenatori della Roma che lo avevano avuto alle dipendenze, lo aiutò persino ad aprire un bar con biliardo nel suo quartiere, Borgo. Poi, quando si presentò per l’ennesima volta in ritardo ad una partita di campionato, adducendo a scusante un guasto alla macchina, la misura fu colma e Ferraris IV venne allontanato dalla rosa giallorossa. A 30 anni, la sua carriera di calciatore sembrava seriamente compromessa e l’indomito Tillio avviato ad un mesto viale del tramonto. Lo risollevò da quel gorgo fumoso e anonimo il ct della nazionale, Vittorio Pozzo. Andò personalmente nel bar di Borgo e trovò Ferraris IV con in mano la stecca da biliardo e in bocca l’ennesima sigaretta. Gli strappò la promessa di smettere di fumare e di provare a prepararsi per il mondiale del ’34, Ci riuscì: andò in ritiro sul lago di Garda, si allenò con uno zelo ed una dedizione che non gli si erano mai conosciuti. Entrò in squadra nella ripetizione di Italia-Spagna, nei quarti di finale, disputò la semifinale con l’Austria e la trionfale finale contro la Cecoslovacchia.
Da campione del mondo, andò poi a creare il suo mito ad Highbury park nella strepitosa partita con l’Inghilterra del 14 novembre del ’34.Attilio Ferraris IV L’Italia, presto ridotta in 10 per l’infortunio di Luisito Monti, stava soccombendo alla fine del primo tempo per 3-0. Al rientro negli spogliatoi, schiumante di rabbia, “Tillio” zittì il ct e i suoi racconti delle battaglie dell’Isonzo, per introdurre anche in nazionale il suo giuramento sul pallone: “Dalla lotta chi desiste fa una fine moltro triste, chi desiste dalla lotta e ‘n gran fijo de ‘na mignotta!!”. Al rientro, i 10 superstiti in maglia azzurra, sostenuti dal Ferraris IV che svolse il compito suo e quello di Monti, rimasto negli spogliatoi con un piede fratturato, erano rincuorati. Al suo comando di carica, rispose il “Balilla” Meazza con una doppietta che trasformò la sconfitta in una storica vittoria morale. Ferraris IV si guadagnò l’appellativo di “Leone di Highbury” che, fra l’altro, per uno nato e cresciuto nel quartiere leonino (così era la definizione di Borgo), non poteva che essere il massimo.
Attilio Ferraris IV giocò nella Roma 167 partite, nella nazionale 28. A 43 anni, l’8 maggio del 1947, a Montecatini durante una partita tra Vecchie Glorie, volle ancora lanciare il suo indomito cuore oltre l’ostacolo. Ma il cuore lo tradì. Riposa nel cimitero monumentale del Verano, sulla sua toba c’è scritto: Attilio Ferraris IV campione del mondo.