Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Marforio martedì, 26 Febbraio alle ore 09:58
Giacomo entrò in ufficio quel mercoledì mattina furibondo. Districandosi tra le scrivanie allineate nell’open space e tra i bassi divisori raggiunse a passo veloce la propria senza degnare di uno sguardo i colleghi che, con pigra assuefazione, officiavano il rito pagano dell’inizio della giornata lavorativa. I tratti del volto contratti, il suo muoversi a scatti, tradivano il nervosismo di cui era preda e non sfuggirono agli astanti che pure, per necessità più che per buona educazione, avevano fatto della riservatezza uno stile di vita. Ci vuole una convinta adesione alla pratica zen per mantenersi calmi in un ambiente di 500 metri quadrati affollato di gente che scrive al pc, conversa al telefono e si muove in continuazione. Il gesto brusco con il quale Giacomo gettò il fascio di quotidiani sul tavolo fu un segnale per tutti: Giacomo quel giorno era off limits. Luca assistette all’intera scena da una postazione privilegiata. Il suo ruolo di capo progetto, infatti, gli dava diritto ad un ufficio riservato, protetto dal resto dell’open space dai vetri oscurati che dall’interno consentivano la vista dell’intero ambiente di lavoro garantendogli una certa riservatezza. Luca prese il telefono e digitò l’interno di Giacomo che conosceva a memoria. Lo salutò frettolosamente e gli chiese di raggiungerlo. Giacomo, afferrato il ricevitore, rispose all’invito con un grugnito, si alzò di scatto e raggiunse l’ufficio di Luca. Luca non aspettò neppure che Giacomo chiudesse la porta per chiedergli che cosa mai avesse quella mattina e Giacomo rispose che era colpa di quello che era accaduto la sera precedente. Luca a quell’affermazione restò interdetto. Sapeva della passione viscerale di Giacomo per la Roma, passione che lui stesso condivideva e, conoscendo il risultato della partita della sera prima, la prima vittoria in casa della Roma contro il Real Madrid, non si spiegava il malumore di Giacomo. Giacomo straripò come un fiume in piena. Gli raccontò che la sera prima era andato allo Stadio con i suoi due figli, come faceva sempre, da abbonato nei distinti nord, e che il settore, di solito semi vuoto, era pieno all’inverosimile. Gente accalcata ovunque, persino sulle scale, ragazzi che scavalcavano da un settore all’altro, senza che nessuno intervenisse o facesse qualcosa per impedirlo. E poi c’era sempre quel gruppetto di una quindicina di persone dietro uno striscione giù in basso, sulla balconata. Tutti con le stesse sciarpe, in piedi a fare casino, manco fossero i padroni del settore. A lui questa cosa non andava giù. Lui pagava per vedere la partita e poi si sentiva minacciato da quella gente, si era spaventato per sé e per i propri figli. Luca lo ascoltò senza commentare e poi gli chiese cosa mai avesse intenzione di fare. Giacomo, allora, gli rispose che ci aveva pensato tutta la notte e che venendo in ufficio aveva avuto un’idea. Avrebbe scritto al giornale denunciando la cosa, li avrebbe fatti mettere a posto da chi di dovere. Luca scosse il capo sconsolato. Pensò a se stesso e al fatto che aveva smesso di andare allo Stadio per motivi opposti a quelli di Giacomo. Che si era stancato di norme, divieti e limitazioni e che se doveva vedersi la partita senza fiatare, seduto e composto, tanto valeva restarsene a casa. Congiunse le mani e tentò di far ragionare Giacomo. Quando ebbe la sensazione che lo sfogo fosse finito gli disse a bruciapelo: “perché invece non ci vai a parlare?”. Giacomo replicò che rischiava solo di prenderle e aggiunse un “tu non li conosci quelli!” detto con voce strozzata. Luca replicò prontamente: “perché tu li conosci?”. “No, ma so giudicare la gente io, vedrai che al massimo rimedio due schiaffi”. Detto questo uscì dalla porta senza salutare e tornò alla sua postazione. Il corriere interno era appena passato e la sua scrivania era ora ingombra di pratiche. Si mise al lavoro sperando di smaltire il cattivo umore. Durante la pausa del pranzo restò al suo posto e iniziò a comporre la lettera. Iniziò con il solito “caro direttore” e sciorinò tutte le sue lamentele cercando di mantenersi sul vago per evitare rappresaglie. Corresse qualche errore di battitura, si collegò alla sua casella di posta elettronica personale e ricopiò il testo inserendo l’indirizzo e-mail della redazione del giornale. Lo rilesse ancora una volta e stava per inviarlo quando la sua mano si bloccò. All’improvviso si sentì un delatore. Immaginò la scena. Gli steward che accorrono in massa e magari si portano via qualche ragazzo. A quel pensiero tutta la sua rabbia sfumò. Annullò l’invio e si disse che tanto domenica si rigiocava in casa e avrebbe tentato di parlarci. Poi se le cose fossero degenerate si sarebbe preso le sue responsabilità. Costasse quel che costasse. Ho perso le parole (*) La vita, come ha descritto efficacemente Peter Howitt nel suo Sliding Doors, è fatta di scelte e di casualità. La piccola storia vera da cui è liberamente tratto il racconto è andata diversamente. Ma un’altra chance è a portata di mano. Basta aprire la porta invece di chiuderla. |
