Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Marforio domenica, 24 Febbraio alle ore 11:26
L’uomo uscì dalla metro A, fermata “Spagna”, e iniziò la risalita che l’avrebbe portato alla sua meta vicino Via Veneto, il luogo della riunione. Lentamente s’incamminò lungo il percorso fatto di interminabili corridoi, scale mobili e tapis roulant e si pentì del suo abbigliamento, troppo pesante per una camminata così lunga. Il giaccone imbottito di piume, in effetti, che aveva indossato sopra il completo in giacca e cravatta, seppur giustificato dalla giornata fredda, lo impacciava non poco. E i suoi novantacinque chili di peso, pensò l’uomo, non lo aiutavano di certo. L’uomo si fermò cercando la direzione da prendere e consultò l’orologio. Era in anticipo di almeno una mezzora e avrebbe avuto tutto il tempo per prendersi un caffè. Uscito in superficie si fermò ad ammirare il salotto buono di Roma. Largo Federico Fellini, l’inizio di Via Veneto, i tavolini all’aperto dell’Harry’s Bar affollato di clienti nonostante l’ora: le quindici su per giù. Prese allora per Via di Porta Pinciana dirigendosi verso una zona meno turistica e cercò un Bar. Lo trovò poche decine di metri dopo e nel pagare il caffè chiese dove fosse un’edicola. Gli dissero che ce n’era una più avanti, all’angolo con via Sistina e l’uomo vi si diresse. Oltre che per il caffè aveva anche il tempo per dare un’occhiata al quotidiano. Davanti alla piccola edicola rimase interdetto. Gli era sembrato di riconoscere un Campione della Roma degli anni ’60 e ’70, ma non ne era sicuro. Lasciò che questi acquistasse il giornale e, sentendolo parlare, fu quasi certo che si trattasse di lui, ma chiese egualmente conferma all’edicolante che annuì. Forse per ingannare il tempo, forse perché una piccola smania infantile si stava lentamente impadronendo di lui, l’uomo prese a seguire il Campione e nel breve attimo in cui prese la decisione si sentì trasformato. Non era più il professionista adulto che stava per entrare in una noiosa riunione. Era un ragazzino. E alla sua mente si affollarono una serie di ricordi che credeva di aver rimosso. Lui, pensò di se stesso, non era come Paolo che ricordava ogni attimo della sua fede romanista. Era attraversato, piuttosto, da brevi e intense rivelazioni, piccoli flash. Gli vennero in mente gli anni delle figurine Panini, dei pantaloni corti all’inglese, della cartella sulle spalle, del suo grembiule azzurro sempre sgualcito con il colletto di plastica rigida e il fiocco bianco che rifaceva in continuazione, perennemente sghembo. Ma in quegli anni, rifletté, il Campione era emigrato altrove a cercare fortuna e l’aveva trovata, vincendo uno scudetto. Perché erano gli anni in cui alla Roma si cresceva e si andava via, si veniva ceduti per rimpinguare il magro bilancio societario. Lentamente riaffiorarono anche altri ricordi. Ecco, l’uomo ora era già più grande, andava alle medie. Del grembiule e della cartella si era liberato, i libri si portavano legati con una corda di gomma, ma portava ancora i calzoni corti, perché a quell’epoca mettere i pantaloni lunghi ad un bambino, diceva la mamma, lo avrebbe fatto assomigliare ad un adulto poco cresciuto. Una fitta al cuore lo prese, perché si ricordava bene che quegli anni coincidevano con lo scudetto della Lazio di Maestrelli. Però erano anche gli anni del ritorno a Roma del Campione, del riscatto. Gli venne in mente, allora, una foto in bianco e nero che aveva visto recentemente sul sito appena rinnovato. Una foto del Campione trionfante e sullo sfondo il tabellone di un derby vittorioso. Doveva essere proprio l’anno dopo lo scudetto della Lazio, ma non ricordava bene e si ripromise di controllare. Nel frattempo la sua rincorsa, a passo appena più veloce per non allarmare nessuno, era completata. Davanti a lui c’era un signore di una sessantina d’anni, i capelli brizzolati, vestito molto sobriamente. Si scambiarono solo poche parole. L’uomo lo fermò chiamandolo per nome e lesse sul viso del Campione un’espressione sorpresa, ma non infastidita, che lo incoraggiò a farsi avanti. Chiese un autografo, come avrebbe voluto fare da ragazzo. Il Campione gli disse che trovava strana quella richiesta perché erano anni che nessuno gliene chiedeva uno. L’uomo, riacquistata la sicurezza di adulto, replicò che era un problema di chi gli autografi non li chiedeva, perché lui sarebbe stato onorato, invece, di poterne avere uno. Il Campione si sorprese di nuovo vedendo che l’uomo gli stava porgendo un’agenda professionale sulla quale scrivere l’autografo e sorridendo forse realizzò che in quel gesto l’uomo stava inconsciamente riaffermando la priorità dei sentimenti che aveva vissuto da bambino sui suoi impegni professionali di adulto. Il Campione chiese all’uomo il suo nome e gli domandò se nella dedica poteva chiamarlo “suo amico”. Fu l’uomo, allora, ad essere sorpreso e farfugliò che ne sarebbe stato felice. Nel ringraziarlo, l’uomo disse che sapeva che il Campione aveva vinto uno scudetto e forse era stato più felice con un’altra maglia, ma che per lui sarebbe stato sempre e solo un Campione della Roma e l’annuire del Campione a quelle parole rese ancor più raggiante l’uomo. Si salutarono cordialmente con una stretta di mano e ripresero ognuno la propria strada. (*) Dallo storico delle partite: Campionato 1974/75, 1° dicembre 1974, Roma Lazio 1-0, De Sisti. Cose del passato recuperate in un comò |
