domenica, Giugno 22, 2025 Anno XXI


Sara arrivò in ufficio, posò la borsa sulla scrivania, si chinò quel tanto che bastava per raggiungere il pulsante di accensione del pc e si sedette su di un angolo del tavolo rigirando nervosamente la busta che aveva in mano. Non faceva alcuna fatica ad immaginarne il contenuto. Quella mattina aveva accompagnato suo figlio Mattia a scuola e nell’atrio si era imbattuta nella segretaria del Preside che l’aveva accolta con il solito sguardo torvo. Poi con un tono a metà tra il solenne e il mellifluo le aveva consegnato la busta di carta leggera, perfettamente chiusa, “per la privacy” aveva aggiunto. Aprì la busta e  lesse la lettera che vi era contenuta, scuotendo il capo man mano che procedeva nella lettura. La lettera, scritta in un linguaggio burocratico, avvisava gli “esercenti la potestà genitoriale” che  Mattia era stato nuovamente sorpreso ad azzuffarsi con un compagno di classe, rammentava che Mattia non era nuovo a simili bravate – la parola bravate era sottolineata – e invitava uno dei predetti a recarsi a scuola il giorno successivo per “conferire” con il Preside alla presenza dello psicologo. Sara prese il telefonino e chiamò Marco, suo marito. In quello stesso momento Mattia, 13 anni, stava ascoltando la professoressa di italiano che spiegava una poesia. La sua mente, però, era rivolta ad altro. Quella mattina, infatti, mentre tornava indietro per rammentare alla madre che quel giorno doveva accompagnarlo agli allenamenti, aveva visto la consegna della busta e anche lui ne immaginava il contenuto. Stavolta rischiava proprio una bella sospensione. Con la coscienza che ancora gli rimordeva cercò di concentrarsi sulla lezione, ma immaginava che quella sera papà e mamma avrebbero fatto i fuochi d’artificio e la prospettiva non lo allettava per niente. Marco rispose distrattamente al telefonino mentre era intento a controllare la posta elettronica. Ascoltò senza replicare il racconto della moglie, cercò per quanto possibile di tranquillizzarla e poi richiuse l’apparecchio. Alle 16 Mattia uscì dalla scuola e si guardò intorno alla ricerca della madre. Fu quindi sorpreso di scorgere  suo padre che l’attendeva in macchina. Marco aprì lo sportello dall’interno e fece accomodare il figlio, poi partì velocemente. Padre e figlio restarono a lungo senza parlare, poi fu Marco a rompere il silenzio. Senza interromperlo si fece raccontare dal figlio la giornata a scuola e poi gli rivolse la domanda che Mattia si attendeva dal mattino: “posso sapere cosa hai fatto?”. Mattia non aveva motivo di mentire al padre e poi era sicuro che la verità sarebbe venuta a galla lo stesso, quindi vuotò rapidamente il sacco. Gli disse che qualche giorno prima entrando in classe con l’immancabile sciarpa giallorossa al collo, dono proprio del padre, si era imbattuto in Giampiero, il laziale, e aveva cercato di evitarlo. Giampiero, però, quel giorno cercava la lite e non aveva fatto fatica a trovarla. Erano bastate poche parole a bassa voce ed erano venuti alle mani. Con voce concitata Mattia tentò di giustificarsi dicendogli che era stato provocato e che Giampiero sembrava il gemello di Draco Malfoy, strappando con quest’ultima affermazione un sorriso al padre. Marco, che in cuor suo se la rideva, restò serio e rimproverò il figlio per essere caduto in una trappola, gli fece un breve discorso sul comportamento da tenere a scuola e chiuse l’argomento dicendogli che un romanista mantiene sempre i nervi saldi. Mattia, che si aspettava di peggio, ne fu tranquillizzato. Quella sera a cena l’argomento non fu ripreso e Marco placò l’inquietudine di Sara dicendogli che la mattina dopo sarebbe andato lui a parlare con il Preside.
Il mattino dopo Marco preparò la colazione e il suo  buon umore, in evidente contrasto con il compito sgradevole che si accingeva a svolgere,  meravigliò sia Sara che Mattia. Salì in macchina con il figlio, si fermò qualche minuto da un fotografo e in breve raggiunsero la scuola, seppure in leggero ritardo. Congedato Mattia, Marco bussò alla porta ed entrò in presidenza, sorprendendo il Preside che attendeva Sara. Si salutarono cordialmente e Marco gli fece chiaramente capire che preferiva rimanessero a quattr’occhi. Il Preside, allora, liquidò frettolosamente lo psicologo e chiuse la porta. “E’ un po’ che non ci si vede, Antonio”, lo apostrofò Marco. Antonio, il Preside, annuì con il capo. Erano stati compagni di classe in quella stessa scuola una trentina di anni prima e Antonio se lo ricordava benissimo.
“Siamo stati ragazzi anche noi, ricordi?” proseguì Marco con voce calma. Antonio, sospettando dove Marco volesse andare a parare, lo interruppe. Gli parlò delle responsabilità che si era assunto con il suo ruolo, dei tempi che erano cambiati, delle circolari ministeriali sul rispetto della disciplina e si dilungò su tutta una serie di problemi della scuola. Marco lo ascoltò in silenzio, ma tirò fuori dalla tasca una vecchia foto, una polaroid ormai ingiallita e la mise sul tavolo.
Antonio, alla vista di quell’immagine, scoppiò in una sonora risata che fece sussultare dall’altra parte della porta l’arcigna segretaria rimasta in ascolto.
“Non credevo l’avessi conservata” disse Antonio. Marco gli rispose con altrettanto buonumore: “lo sai che non butto mai nulla”. Antonio, allora, sfilò dal passamano una piccola cartellina che conteneva, in triplice copia, il provvedimento di sospensione di Mattia. Prese il tutto e lo fece in mille pezzi. Fattosi di nuovo serio, disse a Marco: “promettimi che gli starai appresso a quel ragazzo. Non vorrei che i ragazzi si facessero male e poi i genitori di Giampiero, credimi, sono insopportabili”. Detto questo Antonio,  rivolgendo nuovamente lo sguardo alla foto, aggiunse: “fammene avere una copia, quando puoi”. Marco lo rassicurò che avrebbe tenuto a bada le intemperanze di Mattia e si mise nuovamente la mano in tasca cavandone una riproduzione della foto  che aveva appena mostrato ad Antonio. Nel porgerla ad Antonio gli disse: “eccola, l’ho appena fatta fare, ero sicuro che me l’avresti chiesta”. 
Conclusa la conversazione, Marco abbracciò Antonio e uscì.
Antonio restò ancora qualche attimo a contemplare la foto.
Sul bordo c’era una scritta a penna: “Marzo 1980 – Lazio 1 Roma 2”. La foto ritraeva lui e Marco, allora adolescenti, con la sciarpa giallorossa al collo ed una corda in mano, esultanti. Ai loro piedi, all’altro capo della corda, c’era un ragazzo fatto mettere a quattro zampe, coperto dalla pelliccia di un eschimo e con un campanello al collo, che si lasciava trascinare dai due come una pecora.
Antonio rise ancora e disse ad alta voce rivolto a se stesso: “Ludovico, il laziale… che finaccia che t’avemo fatto fa, e dì che eri stato proprio te a vole’ scommette…”.
Poi mise la foto in una tasca della giacca.

Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?