lunedì, Aprile 29, 2024 Anno XXI


Raccontare Maurizio è la cosa più dolorosa che potessi fare in questi ultimi anni. La sua storia è comune a molti di noi. La sua storia non la racconterà mai nessuno, come le storie dei tanti numeri primi che vivono, sopravvivono e se ne vanno senza che pochi o nessuno si ricordi di loro. Ma non questa volta. Prendo il coraggio che serve per raccontarlo. Partiamo da quando mi arriva una telefonata sul mio cellulare. Ero in famiglia e stavamo vedendo il concerto del primo maggio in tv. Era maggio 2004 e le immagini passavano il solito tappeto di teste che ballavano e si divertivano. Nello stesso momento, ma a trecento chilometri di distanza c’era un’anima che stava premeditando la sua scomparsa da questa terra. Era l’anima di Maurizio.
Al telefono era Gino che con il classico “groppo in gola” cercava di dirmi quello che era accaduto la notte precedente il prima maggio. <> non trovava le parole per dirmelo <> e io <>. Gino era stato l’ambasciatore per il giro di telefonate a Noi suoi amici, unici esseri a cui lui voleva bene, avendo perso i genitori anni prima. Era rimasto solo Maurizio in quella casa della Balduina, vicino allo stadio Olimpico. Era rimasto solo, con tante stanze invase di quell’odore che ricordava anni di tranquillità adolescenziale. Ricordi e fantasmi rumorosi che lo affliggevano dentro quella casa. Pecora non era più lo stesso. Quasi cento chili di muscoli diventati sessanta in pochi mesi. Manie e persecuzioni iniziavano il lavoro di distruzione della sua anima. Maurizio non aveva nessun male cattivo. Il suo calvario lo ha vissuto nel pieno della solitudine. Non ha chiesto aiuto a nessuno e la cecità di chi lo viveva: amici, colleghi e famigliari non avvisarono il suo malessere.
Pecora era di Roma, di una zona di Roma Nord. Una vita di bambino tranquilla. Poi, quando si diventa uomini si deve fare sul serio: una famiglia, dei figli, gli amici e l’amore per i genitori. Tutto procede a meraviglia nella vita di Maurizio. Un lavoro giusto e gli amici con cui è cresciuto e condiviso il tifo per la Roma. Giorni, mesi e anni passati, nei pomeriggi estivi e nei dopolavoro invernali, davanti alla gelateria dei fratelli Quadrani. Davanti a quel ritrovo si parlava di tutto, ma mai mancava un accenno alle questioni giornaliere della squadra giallorossa. Il nomignolo (pecora) se lo era guadagnato sul campo il buon Maurizio. L’oggetto di quel “soprannome” era la sua bontà ed i suoi modi di fare e in particolar il modo di parlare, “soave, senza mai alzare la voce”. Non si poteva programmare una trasferta per seguire la magica senza che “pecora” non ci avesse messo la sua firma: la sua organizzazione. “Organizzazione pecora” simpaticamente usavamo questa frase, che riprendeva una scena di un film di Fantozzi, il quale demandava le organizzazioni di gite ed uscite galanti al mitico Filini.
Passò la sera che precedette quel gesto in compagnia di amici nel piccolo paese delle Marche. Una serata in discoteca raccontata da Michele, il suo amico del cuore. <>. Insomma non era il tipo di persona che stava progettando la sua morte. La mattina successiva si recò al bar del paese e fece colazione come faceva sempre, scambiando qualche battuta con qualche juventino da bar, che lo prendeva in giro per il tifo verso la sua Roma. Da buona pecora come era, a colazione finita rilasciava un sorriso a tutti e si arrecò nel negozio di ferramenta del piccolo centro marchigiano.
Una sera, in una cena tra amici si ricordava la sua figura e si cercava di capire il perché di quel gesto, mi ricordai che circa un anno prima, Maurizio, davanti al Bar Quadrani, mise su un piccolo comizio su come era diventato esperto di nodi marinai. Maurizio, un paio di anni dopo stava aspettando che aprisse il negozio di ferramenta del suo paese proprio per comprare una corda, una di quelle corde per attraccare le barche ai moli di qualche porto. Quella corda lo portò dall’altra parte della vita. Senza rumore andò via, senza lasciare dietro di se debiti o altro da regolare. Su quel tavolo, appoggio della sua ultima presenza terrena, le ricevute del condominio pagate, lo scontrino del ferramenta dove acquistò la fune, per non far sospettare a nessuno che quel gesto fu opera di qualcun altro. Quel gesto doveva apparire per quello che era: un gesto volontario, da non addebitare a nessuno, se non alla sua volontà di andarsene.
Maurizio, non era un ultrà della Roma. E’ stato uno dei tanti appassionati tifosi che non si vedono o non fanno parlare di loro. Presenti a migliaia di partite: in casa o in trasferta, non faceva differenza, lui era sempre presente con la sua sciarpa. Quanti ricordi insieme a Maurizio in giro per L’Italia a seguire la squadra in trasferta: Firenze, Milano, Napoli, Torino, Genova, Avellino e molte altre ancora. Non fu un “capopopolo” ma amava e viveva la Roma con la stessa intensità di quanto amava la vita.
Era da poco finita Roma Parma, quella del terzo scudetto. Dalla “fila 80 settore D” della curva sud si formava un cordone di persone che scendendo i gradini che li dividevano dall’uscita dello stadio olimpico. In qual gruppetto c’era Maurizio con Noi, suoi amici che stavamo recandoci a fare quello che ogni tifoso di calcio sogna nella vita: festeggiare uno scudetto nel centro della città.
Tante persone che camminavano con una meta precisa, il cuore di Roma, per esserci. Per ricordare quel giorno. Quella fu l’ultima volta che con Pecora festeggiammo qualche vittoria della nostra Roma. Nel settore che lo ospitava c’è sempre il suo seggiolino, rimasto non assegnato. Quello che mi sconcerta è che si evita di parlare di Lui. La sua morte per qualcuno, è un ricordo scomodo che muove o rianima dei sensi di colpa. Adesso Maurizio è in quella curva di uno stadio nel cielo. Insieme a quelle tante anime che hanno lasciato tanti “perché”.
Sulla sua lapide c’è un disegnino che la mia Jasmine disegnò per lui nel giorno del suo funerale. Ricordo che da sola prese i suoi colori con cui colorava i suoi angioletti e prese a disegnare un improvvisato lupetto giallorosso. Appena finito quel disegnino vedo che viene verso di me dicendomi: <>. Dopo quattro anni quel disegnino è ancora lì. Scolorito dal sole e dal vento, ma quelle ali, sono ben visibili, infrangibili a tutto. Resistenti al tempo che annebbia il passato di chi è stato “persona” e uomo buono e nobile su questa terra.
Grazie Maurizio per la tua amicizia.

Massimo Lanzi