domenica, Maggio 11, 2025 Anno XXI


Il Consiglio Parrocchiale si trascinava da circa un’ora in modo abbastanza monotono. Don Paolo, tentando di non farsene avvedere, guardò l’orologio: erano le 20.30 e lui era stanco da morire. La stanchezza e la noia lo fecero perdere nei suoi pensieri. Si era alzato, come al solito, sul fare dell’alba e si era recato nella chiesa semivuota per il primo ufficio del mattino, al quale non partecipavano più di cinque o sei parrocchiani anziani. Poi aveva dovuto fare un salto in Vicariato, per sbrigare una serie di commissioni che gli aveva lasciato il Parroco. Non aveva praticamente pranzato e si era precipitato subito al campetto dove si allenavano i suoi tesori: i ragazzi delle squadre di calcio a 5 che curava amorevolmente da quando, uscito dal Seminario Romano Maggiore, era stato assegnato alla Parrocchia con le funzioni di vice-parroco.
Don Paolo, che aveva scoperto assai tardi la propria vocazione sacerdotale, era stato da ragazzo un discreto giocatore. Un centrocampista roccioso alla Benetti e le sue doti non erano passate inosservate neppure in Seminario dove era stato a lungo conteso. Con buona pace di tutti, infatti, le partite tra seminaristi non erano propriamente da seminaristi. Appena arrivato nella sua prima destinazione da sacerdote si era accorto che la Parrocchia, pur avendo a disposizione un grande campo sportivo, lo aveva lasciato nel più completo abbandono ed era priva di una sua squadra. Lui avrebbe di gran lunga preferito mettere su una squadra di calcio a 11, ma alla fine era prevalsa l’esigenza di far giocare il numero maggiore possibile di ragazzi e il vecchio campo era stato suddiviso in tre campetti da calcio a 5 fatti in erba sintetica grazie alla generosa donazione di Carmelo, un parrocchiano che aveva preteso in cambio solo di essere coinvolto nella gestione tecnica. Quando si era trattato di scegliere il colore delle maglie, però, l’idillio tra don Paolo e il suo mecenate era stato sul punto di rompersi. Carmelo, infatti, aveva suggerito di affiliare il neonato sodalizio  alla Polisportiva Lazio, con la quale vantava rapporti molto importanti. Oltretutto avrebbero evitato anche l’acquisto delle mute che sarebbero state fornite gratis dalla Polisportiva stessa. Il giovane prete aveva reagito alla proposta strabuzzando gli occhi, ma Carmelo aveva aggiunto che il celeste era il colore mariano per eccellenza e che quindi anche la tradizione della Parrocchia, dedicata alla Vergine, sarebbe stata rispettata. Don Paolo era rimasto senza argomenti e, abilmente, aveva rinviato ogni decisione a data da destinarsi. Per sua fortuna la Polisportiva aveva già fatto più di un proselito tra le squadre parrocchiali e quindi poté presentarsi a Carmelo al loro successivo appuntamento affermando che non gli sembrava corretto partecipare alle competizioni con altre squadre che avessero la medesima affiliazione. Carmelo aveva accusato il colpo non senza replicare che di soldi per comprare le tenute da gioco non ce n’erano e che quei pochi che avrebbero potuto racimolare con le donazioni dei fedeli sarebbero risultati più utili per le spese correnti, come l’acqua calda e il riscaldamento degli spogliatoi.  Il secondo colpo di fortuna del giovane vice-parroco, che per simili cose non voleva scomodare la Provvidenza, arrivò da Luigi, il proprietario del Bar posto proprio di fronte alla Parrocchia. Se don Paolo non fosse stato certo della fede genuina di Luigi avrebbe tranquillamente scambiato il Bar per un tempio pagano. Non c’era centimetro alle pareti, difatti, sul quale non fosse esposto, in bella mostra come un ex voto, un cimelio della Storia della Roma: dalle foto ai biglietti, dalle maglie autografate ai gagliardetti e alle sciarpe. Davanti alla cassa, inoltre, un cartello avvisava che “Non si fa credito ai laziali”. Nel prendere amichevolmente un caffè, don Paolo si era lasciato andare con Luigi ad una confidenza a bassa voce, dicendogli che presto la Parrocchia avrebbe avuto  le sue belle squadre di calcio a 5, ma con  la divisa della Lazio. A quell’affermazione Luigi, che mai si sarebbe sognato di pronunciare una parola fuori posto davanti al prete, aveva reagito con una sorta di ribellione del corpo che per poco non aveva provocato la rottura di tutti i bicchieri posti ordinatamente sulla specchiera dietro al bancone. “Nun po esse” aveva solennemente affermato a denti stretti. Il giorno dopo un nuovo cartello campeggiava davanti alla cassa del Bar: “Visione partite 5 euris, per i laziali 7 euris”. Agli avventori che avevano mugugnato, perché le partite Luigi non le faceva pagare accontentandosi delle consumazioni, lui aveva replicato: “zitto e paga, nun so pe me”. Qualche giorno dopo nel Bar,  su di una parete dove fino ad allora erano esposte alcune icone del tifo romanista degli anni ’70, campeggiava una serie di manifesti pubblicitari di una nota fabbrica di liquori. Altri piccoli richiami pubblicitari erano distribuiti un po’ ovunque, persino sotto il televisore. Anche in questo caso la risposta di Luigi a chi gli chiedeva se avesse deciso di fare i soldi con la pubblicità, era stata criptica e perentoria: “nun so pe me, fidate”. Passarono i giorni e uno svogliato fattorino si presentò in Parrocchia chiedendo di don Paolo. Gli fece firmare una ricevuta e consegnò al prete una serie di scatoloni con una busta. Don Paolo aprì febbrilmente la busta e vi trovò un biglietto e una busta più piccola. Lesse il biglietto: “Queste sono le mute giuste (giuste era sottolineato). La busta piccola la apra al momento opportuno, Lei saprà. Luigi”. Negli scatoloni c’era l’equipaggiamento per tre squadre di calcio a 5. Maglie bianche con colletto bordato in  giallo e rosso con una banda obliqua gialla bordata di rosso, pantaloncini e calzettoni bianchi con la medesima bordatura giallorossa. Don Paolo era raggiante.
“Don Paolo allora che si fa?”. La voce di uno dei membri del Consiglio distolse il prete dai suoi pensieri. Si doveva decidere come festeggiare la vittoria di un torneo tra le parrocchie ottenuta dalla squadra dei più grandi e varie proposte erano state a lungo dibattute senza trovare una soluzione che accontentasse tutti. Don Paolo, trattenendo a forza uno sbadiglio, stava per rispondere che decidessero loro, poi gli venne in mente la piccola busta che ancora portava piegata nel portafogli. Senza farsene avvedere la prese e ne sollevò discretamente un lembo sbirciandone il contenuto. Raggiante, si rivolse al Consiglio e disse: “è giusto premiare i ragazzi per l’impegno e la lealtà. Il premio, però, non deve essere fine a se stesso, ma deve spingerli a nuovi e più alti traguardi sportivi. Li portiamo tutti al Centro Sportivo “Fulvio Bernardini” di Trigoria a seguire l’allenamento della Roma e poi a pranzare assieme alla prima squadra”. Detto ciò mostrò loro il contenuto della busta: un invito firmato B.C..
Il Consiglio approvò con un solo voto contrario.
Carmelo, quella sera, mangiò riso in bianco e si prese una pastiglia di Maalox.
“Vatti a fidare di un prete”, rimuginò per tutta la serata.

Ma come non hai mai sentito
cantare il tuo angelo
ha una voce di velluto come un vento
che ti scioglie dolcemente
e tocchi il cielo con un dito