venerdì, Giugno 20, 2025 Anno XXI


L’impegno che si erano presi era: “una cosa del genere o si fa bene o non si fa per niente”. E nel loro modo di pensare e di condividere il tempo, farla bene voleva dire “esserci tutti”. Solo che, col passare dei giorni “esserci tutti” si era rivelato meno facile del previsto.
A parte i problemi di salute, perché l’ “annite” come diceva la sora Antonia, ce l’avevano tutti, ci si erano messi anche gli impegni familiari. Di rinvio in rinvio, quindi, il progetto sembrava accantonato.
Fu Giacomo, allora, proprio quello che all’inizio sembrava il meno entusiasta di tutti, e che ogni volta che si riproponeva la cosa replicava “ma che famo, ma andò annamo”, a prendere il comando. “Co tutti sti galli a cantà nun se fa mai giorno!” disse nel corso di un pomeriggio sonnacchioso nel quale si erano trovati solo in tre, “mo ce penzo io”. “E’ che mo è tutto più complicato” replicò Adolfo, “una volta te potevi decide all’ultimo, prendevi e annavi, mo devi programmà co mesi d’anticipo”. Giacomo, però, non si perse d’animo e cominciò a pianificare. Per prima cosa bisognava raccogliere i soldi e questo, per gente abituata a vivere di pensione, non era un problema da poco. Giacomo decise allora che tutti avrebbero messo il minimo, e che la differenza l’avrebbe coperta in segreto lui stesso che, da bancario in pensione, oltre a far bene di conto, godeva di qualche agio in più.
Il secondo problema era che tutti avessero un documento valido, per non essere fermati da un controllo proprio all’ultimo momento. Era, teoricamente, un problema di facile soluzione, visto che il Centro Anziani era proprio a ridosso del Municipio, solo che nessuno, o quasi, si ricordava dove aveva messo la propria carta d’identità, perché, ripeteva Adolfo, “si è ancora bona non è che te ne danno una nova” e le ricerche richiesero qualche giorno. L’ala maschilista del gruppo, incarnata da Fausto, voleva inoltre che le donne ne restassero fuori, prontamente contrastata da Adele, che invece ci teneva particolarmente a partecipare. Il rifiuto di Fausto, tuttavia, non era dettato solo da misoginia, ma anche da un problema pratico: si era deciso di non dire nulla ai familiari per evitare polemiche e allarmismi e le donne, da questo punto di vista, partivano svantaggiate. L’assenza di una donna per l’intera giornata di domenica, in effetti, oltre a destare qualche sospetto di troppo, era normalmente ostacolata dall’affastellarsi degli impegni familiari.
Fu ancora Giacomo ad avere l’idea destinata a condurli nella più completa clandestinità. Un suo vecchio collega si era trasferito a vivere a Bolsena e bastò una telefonata per convincerlo ad inviare al centro una semplice cartolina con la quale li invitava tutti a mangiare da lui sul lago. Messa in bella mostra nella bacheca, la cartolina divenne il pretesto per dire a casa che un invito del genere non si poteva rifiutare, che non uscivano mai e che accettarlo era anche una questione di buona educazione.
L’ultimo, e quasi insormontabile problema, era di trasporto. Nessuno di loro portava più la macchina e di farsi accompagnare dai familiari non se ne parlava proprio, senza contare che in quel modo sarebbe stato evidente che la loro meta non era affatto Bolsena.
Una sommaria lettura del regolamento del Centro li convinse dell’impossibilità di utilizzare il pulmino che veniva messo loro a disposizione per le visite mediche e a quel punto lo sconforto sembrò avere il sopravvento. Visto che nessuno riusciva a trovare una soluzione, Adelmo, il più anziano di tutti, senza dire nulla ai compagni, iniziò a tessere la sua trama fatta di telefonate ai vecchi amici e di richieste, sempre più esplicite, di informazioni, al termine della quale poté presentarsi ai compagni e dare l’annuncio ufficiale: “ho trovato un pulmino” disse con tono stentoreo che svelava il suo passato di ufficiale in congedo. I colloqui riservatissimi che aveva intrattenuto lo avevano portato a scoprire che il bambino al quale aveva fatto da padrino per la cresima circa una quarantina d’anni prima era diventato il titolare di una piccola ditta di trasporti e che, per affetto nei confronti del suo compare e perché anche lui di provata fede, era disposto ad accompagnarli “aggratis” purché potesse unirsi anche lui alla compagnia, a suo carico s’intende. Giacomo, che non poteva credere alle proprie orecchie, si avvicinò con fare circospetto ad Adelmo e gli chiese: “sicuro che è di provata fede?”. Adelmo rispose senza la minima esitazione: “di provata fede da generazioni, garantisco io”. E la cosa finì lì.
Giunse infine il giorno tanto atteso e, alla spicciolata, intorno alle 11, si ritrovarono tutti al Centro. Sembrava proprio che non mancasse nessuno. L’ultima ad arrivare fu Adele che trascinava con sé un borsone. Fausto le chiese caustico se non avesse deciso di passare la notte fuori casa, ma rimase senza parole quando Adele gli mostrò con orgoglio il contenuto del borsone: c’era, ben confezionato, da mangiare per un reggimento. La pratica Adele, difatti, aveva considerato che se era vero che non andavano a pranzo a Bolsena, non per quello era detto che dovessero rimanere digiuni.
Il tratto di strada che li separava dalla loro meta fu percorso rapidamente e con grande allegria. L’autista, infatti, si era dimostrato, oltre che di provata fede, veramente simpatico e informatissimo sulle ultime novità.
Il gruppo era decisamente elettrizzato.
Parcheggiarono il pulmino e con passo deciso, ma misurato, si avvicinarono ai controlli che superarono senza problemi, documenti alla mano, e il borsone di Adele fu oggetto di un controllo dettato più dall’invidia per il suo contenuto che da reali ragioni di sicurezza.
Entrarono, finalmente, nell’impianto e la sua maestosità li commosse.
Trovarono i loro posti e si accomodarono.
Intorno a loro l’Olimpico rifulgeva di luce.
Per qualche minuto restarono in silenzio, rapiti da ciò che vedevano intorno a loro.
Poi Giacomo, con la bella voce tenorile che in gioventù aveva sciolto più di un cuore femminile, iniziò a cantare, seguito dagli altri:
Co’ Masetti ch’è primo portiere;
De Micheli scrucchia ch’è ‘n piacere;
poi ce sta er torello de Bodini;
cor gran Furvio Bernardini,
che dà scòla all’argentini.
Poi c’è stà Feraris a mediano,
bravo nazionale e capitano;
Chini, Fasanelli e Costantino,
cò Lombardo e cò D’Aquino;
Vorche è ‘n mago pe’ segnà!
”.
Accanto a loro, in ragazzotto di una quarantina d’anni, l’unico dei presenti che conoscesse la canzone, annuì soddisfatto e sospirò: “che tempi…”
Lo speaker annunciò le formazioni delle squadre e il gruppo all’unisono urlò con tutto fiato gli era rimasto in gola: daje Roma, forza Lupi!!!
Era arrivato il momento di dare un senso alla giornata.

Semo romani, ma romanisti de più
semo orgogliosi tifamo solo pe’ te.
Se vinci o perdi non cambia niente perché
semo sportivi, ma vinci e mejo sarà.
Forza Roma, Forza Lupi!
questa è l’ora de mostrà quanto valemo
Forza Lupi, Forza Roma
quando entrate in campo er core ce se n’foca
noi c’avemo er core grosso
mezzo giallo e mezzo rosso
er tifoso romanista
dei tifosi e’ sempre er più.