domenica, Maggio 11, 2025 Anno XXI


Che cosa si prova nel cuore quando si parte sapendo di non tornare? Dovremmo domandarlo ai nostri padri o ai padri dei nostri padri. Perché partire per cercare fortuna lontano ci appartiene: italiani, popolo di migranti.
Questa è la storia di uno di loro. La storia di Nando.
Non so se Nando fosse il suo vero nome, ma nell’immaginario collettivo tutti i romani che hanno sognato l’America, quella ricca e sfavillante del nord, degli Stati Uniti, o quella misteriosa e piena di promesse del sud, del Brasile, dell’Argentina, dell’Uruguay e del Cile, si chiamano Nando, come Nando Moriconi, reso immortale da Alberto Sordi.
Cosa si prende e si porta con sé quando si parte per l’America per non tornare?
Soldi non di sicuro. Perché quei pochi che si avevano sono andati tutti per pagare il viaggio.
Nando negli occhi aveva ancora l’orrore della guerra. Delle bombe, delle mitragliate a bassa quota, della paura, della fame.
E nella sua valigia aveva un sogno. Il sogno di una vita migliore.
Migliore di quella che la sua amata Roma, la Roma della fine degli anni ’40, la Roma di «Ladri di biciclette», poteva offrirgli.
Impoverita dalla guerra e scossa dai lutti, prigioniera dell’incertezza e della mancanza di lavoro. Ancora lontana dalla Roma che sarebbe arrivata di lì a pochi anni. Quella del boom, delle ‘600, della «vespa», della «Dolce vita», dei «Poveri ma belli» e di «Vacanze Romane».
No, non è difficile immaginare Nando alla partenza.
Un misto di timore e di sfrontatezza. L’allegria e la battuta pronta di chi, romano e sapendo di esserlo, è pronto ad affrontare il mondo intero con la stessa energia vitale con i la quale i suoi avi, secoli addietro, conquistarono un Impero.
Assieme ai sogni Nando portava con sé un rimpianto. Quello di non poter più andare «al campo» a mischiarsi ai suoi fratelli e urlare a squarcia gola: Forza Roma!!! Come lui di certo sapeva fare bene.
Perché, come nella canzone di Testaccio che lui avrà cantato mille e mille volte, «ogni romano è n’bon tifoso e sà strillà!». E Nando era romano e bon tifoso. Perdutamente innamorato dei colori porpora e oro.
Così nella sua valigia dei sogni, assieme alle immagini dei suoi cari, Nando custodì la sua fede romanista, giurando a se stesso che mai e poi mai, anche a distanza di anni, anche a migliaia di chilometri, l’avrebbe rinnegata. E che, come un’eredità preziosa, l’avrebbe tramandata ai suoi figli e ai figli dei suoi figli. Anche se i suoi discendenti non sarebbero cresciuti sotto il sole di Roma, tra i monumenti della Città Eterna, ma in quella terra lontana e misteriosa. Una terra in cui non avrebbero parlato romano e neppure italiano, una terra così diversa che persino le stelle non sono le stesse di quelle delle tiepide notti romane.
In Cile. L’altro capo del mondo per uno nato e cresciuto tra Monti e Trastevere, Testaccio e Borgo, all’ombra del Colosseo e sotto la volta del Cupolone.
Negli anni Nando tenne fede al suo impegno e al suo giuramento. All’impegno di fare fortuna, perché la vita finalmente gli sorrise. E al giuramento di coltivare la sua fede e di tramandarla ai suoi figli, e ai figli dei suoi figli che crebbero a loro volta con le sue stesse certezze e con la sua stessa consapevolezza.
Quella che la Roma è insieme un tesoro, una fortuna e una benedizione.
Lontani da Roma, ma con la Roma nel cuore. Pronti ad emozionarsi, a gioire e a soffrire come quelli rimasti a casa. Avidi di notizie e talmente partecipi delle sue sorti da viverle con la stessa trepidazione di chi la Roma l’aveva ancora a portata di voce.
La parabola di Nando in fondo non fu diversa dalla nostra. Di quelli che hanno vissuto come un riscatto la trasformazione della rometta degli anni ’60 e ’70 nella Roma brasileira, di Conti, di Falcao, di Pruzzo e del Barone. La Roma di Agostino: il Capitano.
E quando nacque la sua adorata nipotina, a un mese dalla conquista del secondo scudetto, Nando volle che come secondo nome le fosse dato Victoria.
Quella stessa vittoria che lui, come noi tutti, come la sua famiglia intera, educata all’amore per la Roma e contagiata dalla sua stessa passione, aspettava da una vita.
Fu un nonno affettuoso e premuroso Nando. Di quelli che la sera prima di addormentarti ti raccontano le favole, portandoti ai tuoi sogni con i loro sogni.
La favola di Nando si chiamava Roma e Victoria crebbe cullata dalle storie di Roma e della Roma di Agostino, dalle gesta del Capitano senza macchia e senza paura.
Alcuni anni fa Nando ci ha lasciato per sempre. Si è ricongiunto in cielo ai suoi fratelli porpora e oro.
Alla sua famiglia Nando non ha lasciato denaro, né beni da dividere.
Ha lasciato i suoi sogni e la sua passione.
La stessa passione che ora, intatta, e se possibile ancor più vivida, Victoria continua a coltivare e preservare con dolcezza, trepidazione ed orgoglio.
A migliaia di chilometri di distanza, sotto un altro cielo e in una lingua diversa dalla nostra.
Una passione che non ha confini.
Una passione chiamata A.S. Roma.

Sei nell’anima
E lì ti lascio per sempre
Sospeso
Immobile
Fermo immagine
Un segno che non passa mai
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(*) Dedicata a Marcela Victoria, romanista sotto le stelle del Cile. Per noi solo Victoria. Con affetto.