mercoledì, Maggio 07, 2025 Anno XXI


Il suo nome era Arduino, ma pochi allo Stadio lo sapevano. Per tutti era semplicemente «il vicino di posto», o meglio, «quel vicino di posto», quello che non è mai di buon umore, che non è mai contento, che non ride quasi mai e, se ride, la sua è una risata sarcastica.
Il suo posto era nei Distinti Sud, non la Curva, ma neppure la Tribuna Tevere, quella per chi ha soldi da spendere, pensava lui.
Nessuno sapeva, in realtà, da quanto tempo Arduino frequentasse lo Stadio, né perché avesse deciso di restare sempre allo stesso posto. Gli altri cambiavano. Lui no. Lui era sempre lì. Con qualunque tempo, in qualunque partita. Per lui una partita di champions o di coppa Italia era lo stesso. Lui non mancava mai. A suo modo fedele, anche se eternamente scontento.
Fisico asciutto, quasi segaligno, un po’ alla Clint Eastwood degli ultimi anni. Sempre ben vestito, ma senza nulla di appariscente. Della sua vita privata non si sapeva nulla. Se fosse sposato, separato o vedovo, se avesse o meno figli. Del resto per sapere qualcosa di qualcuno bisogna parlarci. Arduino no, lui non parlava con nessuno.
Il suo umore traspariva da un lento salmodiare, una specie di mantra, che lo accompagnava durante tutta la partita. Un dialogo interiore, visto che dagli altri non aspettava risposta, né ammetteva repliche, che cominciava col fischio d’inizio e terminava al triplice fischio finale. Nell’intervallo, a scanso di equivoci, Arduino spalancava il giornale, quasi a dire «non disturbare».
Accanto a lui si era formata una piccola e variegata comunità. Alla sua destra Giovanni, contabile in pensione, vedovo e drammaticamente miope, che pensava, pur non avendoci mai scambiato una parola che non fosse di formale saluto, che Arduino fosse una persona perbene, un tifoso vero. Alla sua sinistra una piccola comitiva di ragazzi e ragazze che si scambiavano costantemente i posti. Giovani, entusiasti, vocianti. Tra loro Annalisa, una gran bella figliola, che forse aveva scelto quel posto sicura che Arduino non avrebbe fatto apprezzamenti, come sin troppo spesso le capitava di sentire, per strada e allo Stadio.
Arduino non nutriva sentimenti particolari verso i suoi vicini, che considerava un male necessario. E tutto sommato di quella gente, di quei rumori, di quel fitto vociare lui non avrebbe potuto fare a meno. Perché a settant’anni suonati Arduino era solo. Non si era mai sposato, non aveva avuto una famiglia che potesse considerare veramente sua.
Per tanto tempo era stato «qualcuno» tra i tifosi. Uno da ascoltare, uno da seguire, uno da rispettare. Poi i suoi vecchi amici si erano dileguati. Qualcuno se n’era andato per sempre, qualcun altro aveva trovato la gioia, o così diceva, di fare il marito esemplare, il padre e poi il nonno. E lui, per non pagare lo scotto di essere compatito, aveva lasciato la sua amata Curva Sud per trasferirvisi accanto. Abbastanza vicino da percepirne la forza e gli umori, ma allo stesso tempo sufficientemente lontano per non dover misurare ogni volta il solco che gli anni ed il succedersi delle generazioni avevano creato tra lui ed i nuovi tifosi.
E in tutti quegli anni Arduino non aveva rivolto parola a nessuno, né aveva accettato o permesso che qualcun altro lo facesse o gli rivolgesse un gesto gentile. Tifoso tra i tifosi, ma a modo suo.
E anche quella volta andò così anche se di cose sulla partita col Bologna ne avrebbe avute da dire, e due paroline le avrebbe rivolte anche a quel giovanotto vestito con una divisa fluorescente.
Alla fine della partita accade l’imprevedibile: invece di correre via con i suoi amici, Annalisa si avvicinò ad Arduino con fare impertinente e, senza chiedergli il permesso, gli stampò un bacio sulla guancia, lasciandogli un’evidente traccia di rossetto. E, per non dare adito a malintesi, fece seguire a quel bacio un sonante «buona Pasqua signor Arduino, io al derby non verrò…» lasciando tutti perplessi ed incuriositi su come avesse osato tanto ed anche solo su come fosse riuscita a sapere il nome del loro vicino così scorbutico.
Arduino a quel gesto improvviso sembrò vacillare e Annalisa attese per qualche istante che lui ricambiasse, se non il gesto, almeno gli auguri. Lui però si riprese immediatamente, trasse dalla tasca un fazzoletto di lino, si pulì il viso dal rossetto e, salutando i presenti solo con un cenno del capo, si alzò e si diresse verso l’uscita.
D’improvviso, come richiamato da qualcuno, Arduino si voltò e lanciò un bacio. Annalisa, più incuriosita che offesa, gli sorrise. Aveva capito che quel gesto non era rivolto verso di lei, ma verso il campo. Verso lo Stadio intero.
In fondo la vera casa di Arduino, per tutti solo il vicino di posto, quel vicino di posto.

Sono un tipo antisociale, non ho voglia di far niente,
sulle scatole mi sta tutta la gente.
In un’isola deserta voglio andare ad abitare
e nessuno mi potrà più disturbare
e nessuno mi potrà più disturbare
e nessuno mi potrà più disturbare…