giovedì, Maggio 08, 2025 Anno XXI


Giorgio guardava sconsolato la fila per i taxi appena fuori dagli arrivi internazionali.
Si sentiva stanco e svuotato e si sentiva anche in colpa.
Da quante ore non dormiva?
La notte non era fredda, anche se l’umidità di Fiumicino cominciava a farsi sentire e lui cercò in tasca un’ultima sigaretta. Durante la gravidanza di Lucia era riuscito praticamente a smettere, sapendo che alla moglie e al nascituro avrebbe fatto male il fumo, ma in poco meno di ventiquattrore aveva recuperato tutta la sua forzata astinenza accendendo una sigaretta dopo l’altra.
Accanto a lui riconobbe gli stessi visi tirati che aveva avuto accanto nel lungo viaggio da Londra. Qualcuno gli sembrava di averlo visto anche all’Emirates Stadium e comunque non aveva dubbi: erano tutti di ritorno dalla partita. Come lui.
Era successo tutto talmente in fretta…
Ricordava perfettamente la gioia di avere in mano il biglietto per la partita con l’Arsenal, fattogli avere da un amico che all’ultimo minuto aveva dovuto rinunciare, e la sua percezione che quello fosse, in fondo, un segno del destino.
Al contrario dei tanti che avevano fatto file lunghissime per procurarsi il biglietto, per trovare in tutti i modi un passaggio aereo per Londra, a lui era capitato tutto assieme tra le mani, senza fatica.
Poi ci si era messo Fabio, il suo primogenito, che aveva una gran voglia di venire al mondo con un paio di settimane di anticipo. La situazione era improvvisamente precipitata. Prima la corsa in clinica con Lucia che, a dispetto dell’opinione dei medici, era sicura che fosse arrivato il momento, poi l’attesa e infine la nascita in piena notte di Fabio, che lui aveva avuto il tempo appena di sfiorare con le labbra.
Era passato da casa solo per farsi una doccia e poi si era catapultato all’aeroporto incoraggiato nonostante tutto da Lucia che non aveva voluto privarlo di quella piccola vacanza, forse per ripagarlo di tutte le volte che era rimasto a casa assieme a lei durante la gravidanza.
Durante il volo aveva sonnecchiato e la giornata londinese era scorsa senza particolari sussulti. A Giorgio era sembrato d’un tratto di essere tornato ai tempi della scuola, quando, come tanti ragazzi della sua generazione, era andato a Londra con la scusa di perfezionare l’inglese, finendo poi per perdersi in quella città enorme e cosmopolita, sempre piena di novità.
Aveva appena avuto il tempo di fare un salto da Harrods per comprare un pensiero per Lucia, e poi si era trovato all’interno dell’Emirates Stadium, roso d’invidia per la bellezza e le comodità dell’impianto, a dispetto delle cinque stelle dell’Olimpico. Si era limitato ad acquistare qualche piccolo gadget e aveva mangiato lo stretto indispensabile sopraffatto di ora in ora dalla lunga mancanza di riposo.
Poi la partita, con l’entusiasmo di trovarsi lì assieme ad altre migliaia di romanisti e la delusione per il risultato, anche se lui non si era mai fatto illusioni. Infine il ritorno in aereo, senza praticamente proferire parola e tentando di guadagnare almeno un’ora di sonno, con in testa la Roma e Fabio, che non vedeva l’ora di prendere in braccio.
Finalmente giunse il suo turno e Giorgio diede al tassista un indirizzo di Prati. L’autista gli sorrise sapendo perfettamente a cosa corrispondeva quella destinazione e Giorgio sprofondò nei sedili chiudendo gli occhi cullato dalla voce monotona del radiotaxi.
Arrivò in clinica che era notte fonda e s’infilò per le scale per raggiungere la stanza della moglie che dormiva un sonno tranquillo, nonostante il recente parto.
Si rifugiò allora nella sala d’aspetto rannicchiandosi in una scomoda poltroncina e fu così che lo sorprese il medico di turno, lo stesso che aveva assistito Lucia e aveva fatto nascere Fabio.
Il medico lo toccò lievemente su di un braccio, e vedendolo con il visto tirato per la stanchezza e con ancora al collo la sciarpa che non aveva lasciato un istante, gli disse solo una parola: «venga!».
Con passo felpato i due raggiunsero il nido ed il medico porse a Giorgio un camice bianco e lo guidò all’interno. Poi nella quiete ovattata di quell’ambiente fuori dal mondo, lo accompagnò fino alla culla in cui si trovava Fabio, silenzioso, ma insolitamente vigile.
Giorgio non ebbe esitazioni.
Prese il telefonino e cercò il filmato che aveva ripreso poche ore prima, durante la partita. Le immagini scorsero silenziose davanti agli occhi del piccolo che certo non ne poteva capire il senso e forse neppure era in grado di vederle e fu allora che Giorgio, con voce bassissima, parlò per la prima volta al suo primogenito: «questi Fabio sono i tuoi fratelli e le tue sorelle porpora e oro. Non dimenticarlo mai. Ovunque andrai ti saranno compagni. E questi che vedi in lontananza sono i giocatori della Roma. Non importa chi siano i loro nomi, indossano la Sacra Maglia e solo questo conta. Questi sono di nuovo i tuoi fratelli e le tue sorelle che cantano nonostante una sconfitta, perché sono romanisti, esattamente come te. So che ora non puoi capire quello che vedi e quello che ti dico, ma è importante lo stesso. Più tardi capirai, e capirai il motivo perché di questi colori non potrai fare a meno e perché li sentirai tuoi».
Poi, lentamente, con una delicatezza infinita, prese la sciarpa e l’avvolse intorno alla culla cingendo il volto di suo figlio, lo baciò sulla fronte e con il telefonino scattò una foto al piccolo semi nascosto dalla sciarpa.
Il rito era stato consumato. Quello che Giorgio sognava di compiere da tantissimo tempo. Il battesimo di suo figlio al romanismo.
Ora Giorgio poteva anche andare a riposare.

Avrai, avrai, avrai il tuo tempo per andar lontano,
camminerai dimenticando, ti fermerai sognando.
Avrai, avrai, avrai la stessa mia triste speranza
e sentirai di non avere amato mai abbastanza
se amore, amore avrai…