giovedì, Giugno 26, 2025 Anno XXI


«Fammi vedere un documento». L’ordine dell’agente di polizia non sorprese Magdi. Da quando era giunto in Italia aveva sentito quella richiesta centinaia di volte.
Magdi gli porse il documento che già aveva in mano.
A quel primo ordine seguì una domanda. «Egiziano?». «No», rispose lui pronto, «sono italiano, nato ad Alessandria d’Egitto, ma cittadino italiano, sulla carta d’identità c’è scritto!». Anche questa risposta uscì dalle labbra di Magdi per abitudine.
Da quando aveva sposato Sara, «romana de Roma», come diceva lei, la figlia del proprietario della trattoria in cui lavorava da tempo, e con il matrimonio aveva acquistato la cittadinanza, era una richiesta che gli avevano fatto infinite volte. Del resto il suo aspetto non gli consentiva di celare le sue origini e non era certo questo il maggiore dei problemi che aveva dovuto affrontare.
Tutto, se non il loro amore, divideva sulla carta Sara e Magdi. In un’altra epoca, in un altro luogo, forse non si sarebbero neppure incontrati, figurarsi se avrebbero avuto il modo di innamorarsi e addirittura di sposarsi, di avere dei figli come Riccardo e Rebecca, i loro due tesori.
Magdi, perso nei suoi pensieri, fu bruscamente riportato alla realtà del piccolo problema che stava affrontando.
Il poliziotto, infatti, non sembrava molto convinto dalle parole di Magdi e rigirava nelle sue mani il documento d’identità forse per accertarne l’autenticità. Il dialogo tra i due, seppure a bassa voce, non era passato inosservato e presto al poliziotto se ne aggiunse un altro, evidentemente più alto in grado anche se Magdi non era in grado di riconoscerlo dalle mostrine. Il secondo poliziotto, più anziano, sembrava più annoiato che contrariato, forse infastidito dallo zelo eccessivo che il suo collega stava mettendo in quel controllo di routine e con un cenno del capo fece al collega un gesto come di lasciar perdere. Il primo poliziotto, tuttavia, voleva mostrarsi pignolo, e proseguì l’ispezione.
«Apri quella borsa» gli ordinò e Magdi ubbidì senza problemi. Il poliziotto, rovistata frettolosamente la borsa, finalmente sembrò placato e con un gesto della mano gli ordinò di passare.
Superata la barriera dei poliziotti, Magdi istintivamente si guardò intorno vedendo che quel giorno tutti gli spettatori venivano fermati e controllati attentamente. La cosa da una parte lo tranquillizzò, perché si rese conto che non era stato fermato per il suo aspetto, ma solo per il suo essere tifoso, dall’altro lo irritò ancora di più. In un teatro o ad un concerto si sarebbero limitati a strappargli il biglietto. Hanno ragione quelli che protestano contro queste cose, pensò tra sé Magdi che aveva in tasca il volantino appena diffuso dalla Curva Sud, ma quel tipo di protesta non era certo per lui. Non che avesse paura di compromettersi, ma è che non voleva rinunciare a quel momento di gioia e, se vi fosse stato costretto, si sarebbe sottoposto a tutte le prepotenze del mondo.
Magdi sapeva bene che quello era un lusso per la sua paga settimanale, che non aveva ricevuto alcuna impennata per essere diventato il genero del principale, e la vita cominciava a costare ogni giorno di più. E poi il benessere di Riccardo e di Rebecca veniva prima di tutto. Solo che a quel lusso non voleva rinunciare, tutto qua.
«Ce l’hai fatta ad arrivare» lo apostrofò ad alta voce un uomo, anzi, come si dice a Roma, «un pezzo d’omo».
Riccardo, con i suoi cento chili e il suo metro e novanta non passava certo inosservato tra la folla. Con una manata condusse a sé Magdi trascinandoselo letteralmente sotto braccio.
Chiunque sarebbe stato spaventato da un gesto del genere, ma non Magdi che rispose con una calorosa stretta di mano al gesto burbero del suocero, quello che l’aveva convinto a frequentare lo Stadio con assiduità, quello che gli aveva fatto conoscere Sara e che portava lo stesso nome del nipote.
Insieme salirono le scale fermandosi di tanto in tanto a salutare.
Poi, finalmente, si accomodarono.
«Come siamo messi oggi?» chiese Magdi che non era informato delle ultime novità.
Il suocero scosse il capo e corrucciò il volto.
«Il Capitano è acciaccato, er montenegrino manco gioca, in panca de difensori, apparte er poro Loria, c’è solo Diamoutene, speramo bene», rispose Riccardo.
Magdi aprì il suo volto con un largo sorriso.
«E noi se pijamo treppunti eguale, e poi annamo a Londra a smontà i cannoni!», disse Magdi in un incerto romanesco.
Le squadre, in quel momento, sulle note della canzone di Venditti, fecero il loro ingresso in campo.
Magdi si alzò in piedi liberando tutta la sua giovanile energia in un urlo liberatorio, quello che si teneva dentro da una settimana: «Forza Roma!».
Poi, senza la minima incertezza si uni al coro, romanista tra i romanisti.

Madre col treno io me ne andrò lontano
sarò soldato oppure carpentiere
e tornerò con qualche lira nella mano
e ne berremo fino a stare male
che tutto questo dovrà pur finire
che dovrà starci un modo per campare