sabato, Aprile 26, 2025 Anno XXI


Sandro si alzò dal divano scuotendo la testa. Non gli capitava spesso di non attendere il fischio finale per smettere di guardare la partita, ma quella volta aveva la sensazione di aver atteso sin troppo.
Mentre si avviava lentamente in cucina, tentando di attenuare con un salutare succo di frutta la sua delusione, la voce monotona di Carlo Zampa dal video lasciato acceso in salone continuava a raccontare di una Roma svogliata, abulica, che non aveva avuto la minima reazione caratteriale di fronte all’Atalanta, la quale, con un minimo di applicazione, l’aveva messa sotto. Tre gol in sei minuti. «Media notevole», pensò Sandro incapace persino di arrabbiarsi.
Negli occhi di Sandro più che i gol dei bergamaschi era rimasto impresso il volto attonito di Spalletti. E non era un’immagine da ricordare con piacere.
Tornato in salone, Sandro spense il televisore per risparmiarsi il solito diluvio di commenti e la sua mente non poté fare a meno di andare indietro ad appena quarantottore prima, al giorno prima di San Valentino, e a Francesca, la compagna con la quale condivideva quel periodo della sua vita.
Già il venerdì, la vigilia di San Valentino, della festa degli innamorati. Quel giorno Francesca si era presentata insolitamente a casa all’ora di pranzo, infreddolita, ma sorridente. Fiera di aver trovato su internet gli ultimi due posti disponibili in un piccolo albergo di Filettino, vicino agli impianti di Campo Staffi, e in pochi minuti gli aveva esposto il suo programma attendendo solo un cenno di assenso da parte di Sandro.
Sarebbero partiti verso le 18 di quello stesso giorno, tanto la strada era libera, si era informata anche di quello, e in un paio d’ore avrebbero raggiunto l’albergo per passarvi tutto il fine settimana e rientrare a Roma nella tarda serata di domenica.
L’espressione contrariata di Sandro, prima ancora del suo diniego, l’aveva invece raggelata più della tramontana. In realtà Sandro trovava semplicemente inconcepibile passare un fine settimana fuori casa se non ci fosse una sosta di campionato e con un certo imbarazzo aveva provato a spiegarlo ad un’incredula Francesca, convinta di non meritarsi un simile affronto.
Il risultato di quella loro breve discussione era stato in qualche modo prevedibile: Francesca sarebbe partita lo stesso. «Con un’amica» aveva precisato. E che lui restasse pure a casa a farsi rodere dal dubbio e dai rimorsi.
Sandro aveva accettato la cosa con rassegnazione, senza fare particolari drammi. Lo ammettesse o meno, non avrebbe comunque rinunciato alla partita, a tributare tempo e passione alla sua amata: la Roma.
E così quando si era trovato a scegliere non aveva esitato, anche se forse in quel momento non aveva valutato appieno le conseguenze del suo rifiuto a Francesca o, più semplicemente, non aveva voluto pensarci.
Il giorno di San Valentino Sandro l’aveva passato praticamente tutto in palestra, felice di recuperare in un giorno solo tutte le volte che non c’era potuto andare. Sudando e sbuffando sugli attrezzi aveva fatto finta di nulla, fiero di perdere qualche chilo e contento di non dover essere costretto a mettersi ai fornelli, visto che se l’era cavata con un’insalata a pranzo e qualche avanzo del frigo a cena.
La domenica mattina l’aveva trascorsa bighellonando per la casa, che aveva scoperto insolitamente vuota senza Francesca.
Aveva persino trovato il tempo di aggiustare un vecchio cassetto del comò che chiudeva male, di sistemare la pompa del vecchio pozzo e di raccogliere le foglie in giardino disperse dal vento che soffiava gelido. Tutte cose che Francesca gli aveva implorato da tempo di fare e che lui aveva rinviato senza motivo. Non era sicuro però che Francesca avrebbe apprezzato e che quelle piccole cose non si sarebbero tramutate in altri motivi di lite.
Francesca non aveva telefonato e lui si era ben guardato dal farlo.
Per pranzo aveva scongelato una pizza e si era messo davanti al video con una birra gelata, più in versione «Fantozzi» che «Walter Matthau» e poi era andata com’era andata: male, anzi malissimo. Durante la partita si era impadronita di lui più che l’arrabbiatura per la sonora sconfitta la noia delle cose già viste, degli errori ripetuti all’infinito. Un vero disastro.
Sandro si riprese dal torpore rendendosi conto che, come spesso gli accadeva quando la Roma perdeva senza lottare, la sua noia si stava lentamente tramutando in un più sanguigno rodimento.
Lo scrocco della porta d’ingresso lo fece trasalire e la vide. Vide Francesca raggiante e, ai suoi occhi, bellissima, i capelli scarmigliati e le gote arrossate dalla giornata trascorsa al sole e all’aria aperta. O almeno così lui sperava.
Francesca gli mise le braccia al collo, gli stampò un bacio sulle labbra e prese a lodarlo per aver sistemato il giardino. Insomma, assunse il classico atteggiamento di chi ha qualcosa da farsi perdonare.
Fu in quel preciso istante che il dubbio l’assalì e fu certo che quel dubbio l’avrebbe accompagnato almeno per tutta la settimana.
Il dubbio che Francesca fosse contenta perché la Roma aveva perso!

Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni, col tempo…
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro non vale…