domenica, Maggio 11, 2025 Anno XXI


Valerio, dodici anni, quasi tredici precisava lui, era al centro dell’area e palleggiava. Da solo.
campo-da-calcioNon gli piaceva il campo in cui dovevano giocare quel giorno, così diverso dal bel campo d’erba sintetica di casa loro. Si guardò intorno. Il campo era di terra battuta, quella che quando entri in scivolata ti riga le gambe e che al minimo soffio di vento si solleva e ti si infila ovunque, specie negli occhi.
E poi le tribune di cemento, troppo vicine, così vicine da obbligarti a fermarti in un attimo, altrimenti ci finivi contro.
Gigi, il Mister, gli si avvicinò e gli chiese se andasse tutto bene. Valerio accennò appena di sì con il capo, ma mentiva. No, non andava affatto bene, almeno da qualche giorno.
L’ultima volta che avevano giocato, Manuel, il capitano, il loro numero nove, l’aveva aspettato dopo la doccia e l’aveva affrontato a brutto muso dicendogli che lui, Valerio, non era abbastanza cattivo, che un difensore deve essere cattivo, deve far sentire all’avversario i tacchetti, se no quello lo salta e va in porta.
Già, un difensore. Il ruolo di Valerio.
Quando il Mister gli aveva assegnato quel ruolo lui era rimasto molto male. Avrebbe preferito andare avanti, cercare la via del gol, avere almeno una volta la possibilità di esultare come facevano i compagni, come Manuel, il bomber della squadra.
E invece era sempre dietro, sempre in rincorsa, a prendere calci e a darne. A darne pochi, per la verità perché lui, e su questo Manuel aveva ragione, non era un difensore cattivo.
Il Mister l’aveva preso da parte e aveva cercato di spiegargli. Gli aveva detto di togliersi dalla testa tante idee sbagliate, che lui doveva cercare la palla, non le gambe, che nel calcio la lealtà conta più dell’agonismo. Poi gli aveva fatto un sacco di esempi il Mister, quello che sotto la giacca della tuta portava sempre una sciarpa della Roma, pure se i loro colori sociali erano il bianco e il verde.
Gli aveva raccontato di Giacomo Losi “Core de Roma” e di “Pluto” Aldair, giocatori che Valerio conosceva solo nei racconti del padre.
Due difensori, due campioni famosi anche per la loro correttezza e lealtà. Belle parole certo, e Valerio era contento che il Mister avesse perso tempo con lui, ma la realtà dei fatti era che dopo quel discorso di Manuel tutta la squadra l’aveva isolato. E ora Valerio era da solo a riscaldarsi e a palleggiare, mentre gli altri scherzavano tra loro facendo il torello. Le grida dagli spalti scossero Valerio dai suoi pensieri: la partita stava per iniziare. Il loro avversario era decisamente abbordabile e galleggiava a metà classifica.
L’unico veramente forte era il n. 7, un dodicenne molto veloce che Valerio conosceva già di vista. Ma il n.7 non era un problema di Valerio, perché c’era Francesco, il loro esterno basso di sinistra, in marcatura su di lui. Per tutto il primo tempo le squadre si affrontarono a centrocampo. Solo un paio di volte il pallone capitò dalle parti di Valerio, che se la cavò egregiamente appoggiando al portiere.
Dalla sua posizione di ultimo uomo Valerio vedeva il pallone danzare da una parte all’altra della metà campo opposta concentrato sulla possibile ripartenza avversaria, che però non avvenne lasciandolo a prendere solo un sacco di freddo.
Al fischio che pose fine al primo tempo i compagni rientrarono di corsa negli spogliatoi molto nervosi, perché non riuscivano a sbloccare il risultato. Lui restò fuori a palleggiare beccandosi pure qualche insulto dagli spalti.
La ripresa iniziò e presto divenne la fotocopia del primo tempo con loro all’attacco e gli avversari in difesa. Il Mister, da bordo campo, si sgolava che restassero calmi e compatti, che non si sbilanciassero. Il nervosismo, però, si era ormai impadronito della squadra che si era riversata completamente nella metà campo avversaria.
Valerio scuoteva il capo facendo qualche cenno al portiere che saltellava tra i pali. Si andava verso la fine della partita e Valerio non aveva avuto un solo pallone da giocare per tutto il secondo tempo. I loro due esterni, Francesco a sinistra e Andrea a destra, erano ormai costantemente in attacco.
azione
Poi accadde quello che Valerio temeva. Il n. 7 dettò il passaggio e partì lungo l’out destro, alla sinistra di Valerio che teneva d’occhio tutto il fronte d’attacco timoroso di farsi prendere in mezzo. Francesco si fece saltare con una finta neppure irresistibile e ora toccava a lui, Valerio, fermare l’azione. Valerio ebbe tutto il tempo di studiare la situazione. Se l’avesse affrontato così sarebbe stato saltato come un birillo e poi non avrebbe avuto modo di riprenderlo, perché lui era freddo e il n. 7 era già lanciato. Doveva affiancarlo, tenerlo lungo la linea cercando di non farsi superare e fidare nella sua maggiore prestanza, perché il n. 7 era agile, ma era piccolo.
Così fece e per un tratto di campo che a Valerio sembrò lunghissimo corsero fianco a fianco, corpo a corpo, sbuffando come mantici, senza riuscire superarsi, la palla calciata ormai lontano. Poi si accorse che il n. 7 non cercava il cross, ma voleva rientrare sul sinistro e andare in porta e che non sarebbe mai riuscito ad anticiparlo. Doveva fare fallo, anche a costo di farsi buttare fuori, ma almeno avrebbero evitato di prendere gol, il primo dovere di un difensore. Alzò lo sguardo cercando il punto in cui intervenire e vide. Vide il muro di cemento contro il quale sarebbe andato a sbattere il n. 7 se Valerio l’avesse spinto appena un po’ più forte. Così si fermò, lasciando sfilare il n. 7 in un fazzoletto di campo.
Il suo avversario si involò incredulo verso la porta e segnò facilmente: palla da una parte e portiere dall’altra. Fu match point, perché dopo qualche istante l’arbitro fischiò la fine.
Dopo aver abbracciato i compagni il n. 7 venne da lui e gli chiese: «perché non mi hai fatto fallo? perché non mi hai spinto via?».
Valerio, a capo chino, gli indicò il muro di cemento che il suo avversario, preso dalla concitazione dell’azione, non aveva notato. Allora il ragazzo lo abbracciò e si scambiarono le maglie sotto un diluvio di insulti provenienti dalle tribune. Valerio non voleva rientrare negli spogliatoi certo che quel gesto l’avrebbe pagato a caro prezzo.
E infatti dopo qualche minuto Manuel venne da lui e prese a spintonarlo davanti a tutti. Sputò in terra e gli disse chiaramente che lui aveva chiuso. Valerio scoppiò in un pianto dirotto. Fu in quello stato che lo trovò il Mister che da lontano aveva osservato la scena senza intervenire.
Il Mister gli si avvicinò, gli mise un braccio intorno alle spalle e gli disse: «ho visto tutto, sei stato bravo. Non preoccuparti per Manuel. Tanto da domani verrà messo fuori squadra».
Valerio non ebbe il tempo neppure di ringraziarlo, alzò la testa e lo vide andar via. Solo allora si accorse di quello che aveva al collo. Una sciarpa giallorossa, la sciarpa del Mister.

Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone e terra
e polvere che tira vento e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo,
con le scarpette di gomma dura,
dodici anni e il cuore pieno di paura.

(*) Dedicato al Presidente Tripla G e a tutti quelli che insegnano ai ragazzi i valori di correttezza e lealtà sportiva, ricordando a tutti che il calcio, in fondo, è solo un gioco.