Categorie Articoli by Gens Romana Scritto da Marforio giovedì, 29 Gennaio alle ore 09:32
Marzia ha 25 anni, energia da vendere e un fisico prorompente, non proprio da top model. A chi le raccomanda di mettersi a dieta, che almeno lo faccia per la salute se non per l’estetica, lei risponde che i chili di troppo le fanno compagnia e che ogni chilo in più è per lei una rinuncia non fatta. Una gioia, piccola o grande che sia, rubata alle tristezze della vita. Marzia fa la commessa in un negozio di abbigliamento da donna di Via del Corso ed è molto brava, tanto che Elvira, l’anziana proprietaria, medita di associarla un giorno o l’altro. Al gusto nella scelta delle fogge e dei colori degli abiti, Marzia unisce, infatti, un suo stile tutto personale nel rapporto con le clienti, fatto di gentilezza e di vitalità, oltre che di ironia. E poi di fronte al suo aspetto giunonico le clienti si sentono a loro agio specie se, con il passare degli anni, sono costrette a passare ad una taglia in più. La sua disponibilità con Elvira e le clienti ha solo un limite. Marzia, che non fa problemi di orario e di turni festivi, era stata chiara sin dall’inizio: lei allo Stadio, quando giocava la Magica, non avrebbe rinunciato. Così quel mercoledì Marzia uscì dal negozio qualche minuto dopo le 19.45, inforcò lo scooter, e si diresse a bomba verso l’Olimpico. Con i capelli lunghi e scuri raccolti in una coda che le usciva dal casco, un pesante giaccone che nascondeva la sua divisa da commessa e la faceva apparire, se possibile, ancora più imponente, si mise a zigzagare tra i vicoli del centro. Unica concessione di tifosa: una fascia nera di pile che le incorniciava il viso. Identica a quella del Capitano. Al poco tempo a disposizione Marzia dovette sottrarre quello occorrente per assicurarsi, nel piccolo forno vicino al negozio, alcuni minimali oggetti di conforto, sufficienti, comunque, a riempirle lo zainetto già carico di suo delle mille cose che trasformano ogni borsa portata da una donna in un luogo misterioso. Una decina di pizzette, alcuni piccoli panini al sesamo, altri alle olive e un sacchetto di rustici assortiti. E ancora, una confezione di merendine al cioccolato e un’altra di quelle con la marmellata, un sacchetto di piccoli di bignè alla crema, un altro di quelli alla nutella, crackers al rosmarino, e infine caramelle, cioccolatini e gelee alla frutta, furono il suo ricco bottino. Chiese a Manlio, il proprietario, di segnare tutto sul suo conto e scomparve. Lasciò lo scooter al solito posto e al parcheggio completò la scorta con gli immancabili caffè Borghetti che occultò sul fondo dello zaino. Raggiunto il suo posto ai Distinti Sud, Marzia iniziò i suoi riti propiziatori. Ognuno, infatti, ha le sue manie prima e durante la partita. Lei mangiava, praticamente in continuazione, interrompendosi solo per apostrofare i giocatori con espressioni colorite. Come un direttore d’orchestra, Marzia sceglieva con mano sicura ciò che avrebbe mangiato a seconda dell’andamento della partita. Durante il riscaldamento era il momento delle pizzette, per tenere a bada lo stomaco. Poi sarebbe stato il turno dei panini. I rustici, che erano la sua passione, se li riservava per l’intervallo, quando avrebbe avuto il tempo di gustarli. Dolci, merendine, cioccolatini e caramelle, invece, erano condizionati dal suo umore. E i Borghetti le servivano per quando la Roma soffriva in campo, per tirarle su il morale. In più Marzia aveva il vezzo di legare ogni avversaria della Roma ad un piatto locale, perché per lei l’Italia era, in fondo, una tavola perennemente imbandita, e nei momenti in cui non mangiava pensava a quello che di buono le avrebbe riservato una visita in campo avverso. Con Palermo, poi, aveva un rapporto del tutto speciale e sanguigno. Per Marzia, infatti, che occultava ai più, dietro il suo nome «romano», quello vero di Rosalia Maria, Palermo era la casa della nonna materna, dalla quale aveva ereditato il fisico, e l’infinita serie di leccornie, dolci e salate, che usciva dalla sua cucina a getto continuo nei giorni di festa. La partita, come previsto, si rivelò difficile e combattuta e ciò accelerò la consumazione delle scorte dello zainetto che a metà del secondo tempo, con la Roma in vantaggio, ma in affanno, Marzia fu costretta a centellinare. La Roma le pareva troppo sulle gambe e Marzia avrebbe volentieri rinunciato ad una parte dei dolci e dei cioccolatini che le erano rimasti per darli ai giocatori in campo e tirarli un po’ su. Specie Matteo Brighi, per il quale Marzia, dopo il Capitano s’intende, nutriva una vera passione. L’uscita per infortunio di Cassetti, con la Roma in dieci e tanto ancora da giocare, ridusse addirittura Marzia al digiuno, e non le era mai successo. Assieme a tutto lo Stadio rimase praticamente in apnea fino al fischio finale e non ingurgitò nulla, la bocca serrata e la fronte corrucciata. La cosa non passò inosservata tra i suoi vicini che, finita la partita, mentre le note di «Grazie Roma» riempivano lo Stadio che si svuotava, cominciarono a prenderla in giro. Marzia, però, non gli diede retta e rimase seduta al suo posto ancora scossa. La sorprese così Vittorio, uno steward anziano che non vedeva l’ora di tornare a casa e che, nel sollecitarla ad andarsene, l’apostrofò ironicamente: «A regazzì, stasera a Maggica t’ha fatto strigne eh? ner finale manco ‘na carammella sei riuscita a magnatte». La risposta di Marzia non si fece attendere: «a ninni, guarda che io stavo a magnà, solo che lo facevo cor penziero. A fine pasto me stavo a fa propio un bel sorbetto alla spuma de limone, limoncello e pepe nero come quelli che fa Mazzara, a Palermo. Vatte a fa un brodino te, piuttosto, che pij freddo». Detto questo si lasciò andare ad una risata prorompente, si alzò, ondeggiando la sua coda di cavallo, e lasciò dietro di sé una scia odorosa di profumo di lavanda e di cose buone. A modo suo, affascinante. Si diresse verso lo scooter e guardò l’orologio. Gli era venuto un certo appetito e, percorrendo il tratto di strada che la separava dal parcheggio, ripassò mentalmente il contenuto del frigo. Qualcosa, ne era certa, si sarebbe inventata anche quella sera. Un gelato al limon |
