Categorie Accademia Romanesca Scritto da Er Pasquino mercoledì, 28 Gennaio alle ore 08:53
Il luogo più immediato e diretto in cui si esprime la lingua romanesca è la poesia e la forma poetica che meglio di ogni altra esprime la concretezza, la concisione e la spietatezza dell’animo romanesco, è senz’altro il sonetto. Il sonetto è quello che un certo Wolfgang ai primi dell’ottocento definiva: “il degno scrigno del verso d’oro della poesia italiana: l’endecasillabo”. Tradotto in parole nostre: mejo dell’endecasillabo nun ce sò versi. Er sonetto è fatto de quattordici endecasillabi. Cerchiamo di capire: il verso poetico è basato sulle sillabe in cui si può dividere quel verso. Es. “Forza Roma” è formato da 4 sillabe. “Core de Roma” è un quinario (cinque sillabe). “Me batte ‘r core quanno canto l’inno” è un endecasillabo. (dividiamo: me-bat-te’r-co-re-quan-no-can-to-l’in-no). Indubbiamente la musicalità di un verso fatto da undici sillabe, non ha confronti con altri tipi di metrica (la metrica è quella faccenda che regola i versi poetici). Le quartine sono quattro versi che rimano a due a due, le terzine sono tre versi che rimano a due o tre rime. Colori Quanno che penzo ar “Giallo”… sogno er sole, sbarbaji de limone e girasole, Poi bacio er “Rosso”: er rosso dell’amore, volo: cor vino, o co ‘na malatia (1) 1=il “tifo” |
