Categorie Il Redazionale Scritto da Sciamano lunedì, 11 Gennaio alle ore 11:25
Non potremmo trovare parole migliori per sintetizzare la partita di ieri contro l’armata Brancale-Gonde. Ci si preparava ad un match chiave col solito misto di fiducia e paura, dettata nel primo caso dalle confortanti prestazioni delle ultime settimane, ma consapevoli che gli scontri diretti di quest’anno sono andati tutti malamente o quasi. Il confronto delle figurine del resto, era e resta impietoso e il rischio che il pranzo ci andasse di traverso causa Lukaku e soci era più che concreto. Dalle prime battute si vedeva però una Roma ben messa in campo, fondamentalmente padrona delle operazioni nei primi venti minuti e in grado anche di andare in vantaggio con un’azione degna del manuale Ferguson “palla rubata quattro passaggi e gol”, non senza qualche rischio tutto sommato nell’ordine delle cose. La reazione dell’Inter era però rabbiosa e complice un angolo inventato dal solito cecato fischiettante e 15 minuti di sbandamento collettivo con annesso miracolo del ritrovato Pau Lopez, ci si trovava sotto, con tanti saluti ai sogni di gloria. A quel punto però accadeva l’insperato. Lo scienziato che di stipendio prende quasi come la somma di tutti gli allenatori delle prime dieci in classifica, si cacava addosso, sostituiva Hakimi (fin li tra i suoi migliori in campo assieme a Lukaku) e si piazzava in un improbabile catenaccio, regalandoci dieci minuti di assedio finale con relativo pareggio. Questa la mentalità che ci piace, indipendentemente dai valori in campo, provarci fino alla fine con tigna e coraggio stradarolo. Non è nostro uso utilizzare le sventure altrui per spiegare le (poche) fortune nostre. Ma la figura di Conte ha una sua importanza, seppur indiretta, negli ultimi due anni della Roma. Più volte invocato come il salvatore della patria, dimostra invece di non avere alcuna bacchetta magica; e sebbene abbia di gran lunga la squadra più forte del campionato, non riesce a svoltare. Non immaginiamo i danni che avrebbe fatto qui nella situazione di un anno fa, con uno spogliatoio completamente disunito e una società inesistente soprattutto nel gestire i rapporti umani. Nessuno ha la pretesa di eleggere Fonseca a nuovo Rinus Michels. I dubbi se sia un vincente o meno, li può fugare solo lui con i risultati e forse mostrando un po’ più di reattività sui cambi in corsa. Ma tutto questo ci dimostra che l’allenatore ha un peso relativo che fa la differenza solo quando la squadra è solida e costruita in coerenza con un progetto sportivo e societario di medio termine. La partita di ieri ci ha chiaramente mostrato (o confermato, vedi Bergamo) quanto siano necessari dei rinforzi che diano subito maggiore fisicità. Dzeko ha fatto il suo ed era una scelta obbligata contro una difesa fisica come questa; ma è evidente che serve un altro attaccante di peso che faccia il lavoro spalle alla porta e aiuti a far salire la squadra quando pressata. Sebbene gli esterni abbiamo lavorato discretamente, soprattutto con Kardsorp, è mancata una certa continuità nel tenere la palla alta, resasi palese nel momento di massima pressione dell’Inter. Il centrocampo ha contenuto bene e si sono viste anche belle giocate soprattutto di Villar e sul finale di Pellegrini, ma non può bastare per vincere queste partite e ambire a qualcosa di più. Venti giorni per fare il salto. Daje Dan. P.S. Del derby non si parla, si gioca e basta. |
